“Se una persona desidera andare in pensione dopo 20 anni di lavoro lo faccia pure, ma poi il suo assegno sarà calcolato sulla base dei contributi effettivi. Rompiamo il tabù secondo cui non si può andare in pensione a 40 anni perché si è ancora relativamente giovani”. Ad affermarlo è Nino Galloni, sindaco Inail, nel momento in cui la legge di stabilità è al vaglio della Camera, con provvedimenti che riguardano tematiche pensionistiche o previdenziali. Uno di questi prevede che la proroga di Opzione Donna sia vincolata a un monitoraggio sulle previsioni di spesa da realizzare il 30 settembre di ogni anno. Mentre un emendamento presentato dal governo ha anticipato di un anno l’aumento della no tax area per i pensionati fino a 8mila euro.
Professor Galloni, che cosa ne pensa degli emendamenti che sono stati portati alla Legge di stabilità?
Sono sostanzialmente favorevole a tutti gli emendamenti nel momento in cui questi sono migliorativi. E’ giusto non esagerare con i requisiti per accedere alla pensione. Il punto su cui però bisognerebbe lavorare di più, e rispetto a cui il battistrada potrebbe essere proprio Opzione Donna, è il fatto che comunque si deve garantire una pensione a tutti, e che l’assegno deve essere proporzionato ai versamenti. Se una persona desidera andare in pensione dopo 20 anni di lavoro lo faccia pure, ma poi il suo assegno sarà calcolato sulla base dei contributi effettivi.
L’M5S ha proposto di considerare come lavori usuranti tutti quelli che riguardano gli edili. Lei è d’accordo?
Su questo sono d’accordo con M5S, soprattutto se stiamo parlando di lavori nell’edilizia, nell’asfaltatura delle strade e in tutti i comparti che formalmente non sono considerati usuranti ma che nella realtà lo sono. Del resto qualsiasi lavoro è usurante, soprattutto se non è creativo e se uno lo fa controvoglia. Occorre una politica del lavoro in base a cui magari a 15 anni una persona raccoglie le mele, a 20 va a spaccare i sassi in miniera, a 40 coordina gli altri minatori, a 50 insegna quello che ha imparato nella sua vita professionale e così via. Ma non si può pretendere che uno lavori in miniera fino a 67 anni.
E’ solo un problema di pensioni o anche di salari?
Sono due questioni intrecciate tra loro. Il problema è che negli ultimi anni abbiamo avuto una politica di divergenza dei salari. Il salario tipo si è abbassato enormemente, mentre gli stipendi più elevati sono aumentati decine di volte. In questa situazione poi c’è stato un effetto negativo sull’intero sistema pensionistico.
In che senso?
Abbiamo avuto le pensioni d’oro, anche perché si guadagnava tanto e c’era interesse a rimanere il più possibile al lavoro. Dall’altra ci sono pensioni misere di anziani che non avevano più la voglia e la forza di lavorare, e poi si sono trovati una pensione insoddisfacente. E’ una dicotomia che va superata. Dobbiamo cercare di creare una società che si organizzi a seconda delle fasce d’età e delle capacità professionali.
La platea degli esodati è andata ampliandosi nel tempo. Come risolvere il problema una volta per tutte?
La via maestra per uscirne è la flessibilità: uno va in pensione quando vuole. Gli esodati del resto sono quelli che non hanno avuto neanche una penalizzazione.
La flessibilità che propone lei non rischia di fare sì che ci siano milioni di persone con 200-300 euro al mese di pensione?
Questo è vero, ma dipende dal livello dei salari. Sono state fatte politiche salariali e di precarizzazione esasperata del lavoro che hanno portato a questo risultato. Se continuiamo a insistere sul fatto che tutte queste persone rimangano oltre ogni ragionevole termine per avere 100 euro in più di pensione, non si tratta di una soluzione ottimale. Il problema è nello stesso tempo di carattere finanziario e sociale. Non possiamo aggravare il problema sociale per risolvere il problema finanziario, ma non possiamo fare neanche il contrario: dobbiamo individuare una rotta che sia sostenibile.
(Pietro Vernizzi)