Ciò che consente ai membri e alle unità di un’organizzazione di fidarsi reciprocamente e di collaborare senza dipendere da trattative dettagliate è il riferimento a valori condivisi, cioè a norme culturali che contribuiscono a definire l’organizzazione. I valori condivisi sono un importante asset aziendale e costituiscono il fondamento comune su cui può essere basata la cooperazione, la collaborazione e la soluzione dei conflitti.
La condivisione di valori porta a comportamenti reciprocamente corretti, a uno scambio più trasparente delle idee e riduce il bisogno di forti controlli. Ovviamente, affinché siano condivisibili tali valori dovranno risultare oggettivamente corretti e ben integrati nella visione e missione dell’azienda.
A tal proposito, risulta particolarmente importante la qualità del profilo etico delle persone che insieme generano e danno vita all’attività aziendale. Il loro comportamento volto al perseguimento del “bene comune” appare come risultato ultimo di quel connubio positivo tra la condivisione di un valore e la correttezza nella sua applicazione, tra le convinzioni personali e l’azione che genera valore.
È sempre più vero che nella knowledge driven economy la possibilità di prosperare e generare ricchezza, più che dalla pura applicazione di principi economici, deriva dalla sinergia esponenziale che si genera dalla cooperazione condivisa tra soggetti che investono nel valore più che nell’attività. In particolare, più che creare valore, che di per sé è abbastanza scontato e omologato, si tratta piuttosto di essere capaci di aggiungere “valori” e saperli condividere, comunicandoli con efficacia all’interno e all’esterno. Comunicare con quanta passione è stato svolto quel compito, con quanta lealtà si lavora in quel gruppo di lavoro, con quale spirito etico si progetta in quel laboratorio e così via.
L’assunzione di codici etici è stato un forte segnale nel tentativo di influenzare il comportamento dei dipendenti, anche se questi strumenti non possono prescindere dall’indirizzo generale dell’intera cultura aziendale. Il comportamento del management deve, infatti, modellare il contesto organizzativo costruendo, di fatto, un sentimento di fiducia nel valore etico con una contestuale traduzione nell’attività.
Adottare questa impostazione presuppone considerare l’etica d’impresa, diversamente da quanto ritengono molti manager, una questione che investe tanto la sfera organizzativa quanto quella personale: se è vero che gli individui devono esercitare il loro giudizio morale e assumersi la responsabilità delle proprie scelte, è anche vero però che fattori organizzativi (obiettivi irrealistici, sistemi di incentivo perversi, mancanza di controlli, inadeguata formazione, mancanza di leadership responsabile) esercitano un forte influsso sul comportamento dei dipendenti. Ne consegue che l’insieme dei “valori” e dunque l’etica ha a che fare con il management: i manager infatti modellano il contesto organizzativo attraverso il loro comportamento, il loro disegno dell’organizzazione e dei suoi sistemi e la loro leadership che orienta il processo decisionale aziendale.
Il management è dunque il vero soggetto capace di dare un esempio di giustizia e correttezza dei valori base della cultura aziendale; la sua stessa leadership si basa sulla reputazione che esso ha presso dipendenti, clienti e fornitori. Tale reputazione poggia su due dimensioni che operano congiuntamente: la dimensione relativa al profilo della persona con i suoi valori, credenze e quella del manager che traduce tali orientamenti valoriali nel contesto organizzativo, la cui combinazione determina come il management si comporta nelle varie situazioni e come si attende che si comportino gli altri.