Il Senato, come ha spiegato ieri Renato Schifani, sarebbe pronto anche ad approvare il disegno di legge sulla riforma del lavoro in 30-40 giorni. Il problema è che il dibattito sul tema resta ancora infuocato e impegnerà non poco il Premier Mario Monti dopo il suo rientro dall’Estremo Oriente. Sabato, infatti, il Segretario Generale della Cgil, Susanna Camusso, è tornato a parlare di articolo 18. “Penso – ha detto – che il Governo debba essere coerente: se dice che non è una riforma contro i lavoratori allora riconosca che per ogni licenziamento illegittimo deve esserci il reintegro. La partita la giochiamo in Parlamento, accompagnando la discussione con le nostre mobilitazioni. Ci auguriamo che il Parlamento faccia un buon lavoro”. Nello stesso giorno, il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, ha sottolineato che il reintegro previsto dall’articolo 18 è “un’anomalia del sistema italiano. Si tratta di un tema molto ideologico e noi non vogliamo affrontare il tema dal punto di vista ideologico. Vogliamo solo portare un confronto tra l’Italia e gli altri paesi europei”. Secondo la leader degli industriali la misura “esiste formalmente anche in qualche altro paese europeo, ma sostanzialmente non viene usata”. A ilsussidiario.net, il Segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, manifesta idee molto chiare su questo tema. «Il sistema mediatico – spiega – si è concentrato solo sulla flessibilità in uscita e sull’articolo 18, una sottovalutazione tipica di un modo sbagliato e provinciale di fare informazione».
E invece che giudizio di merito dà alle linee guida di questo disegno di legge?
La riforma del mercato del lavoro affronta tanti temi cari al Sindacato, tra cui la questione di una riduzione di tante forme di flessibilità malata, come le false partite iva o i contratti di compartecipazione. I giovani avranno più tutele con questa riforma. Ci saranno meno abusi da parte delle imprese e più occasioni di stabilità. La valorizzazione del canale di accesso dell’apprendistato potrà rappresentare una svolta in molti settori economici. Bisognerebbe parlare di queste cose e non solo dell’articolo 18 che è solo uno straccio da far sventolare.
Dopo tante trattative sulla riforma del lavoro, ne è uscito un ddl ordinario. Come valuta questa scelta del Governo?
Noi pensiamo che il Governo abbia fatto bene a scegliere la strada del disegno di legge, perché il Parlamento potrà valutare con maggiore libertà e responsabilità il contenuto dei provvedimenti, ascoltando durante tutto l’iter legislativo anche il parere del Sindacato. Noi abbiamo impedito che succedesse quello che è accaduto con la riforma delle pensioni, dove è mancata una discussione approfondita, lasciando centinaia di migliaia di lavoratori cosiddetti “esodati” senza salario e senza pensione. Sul mercato del lavoro il confronto non è mancato e la riforma è sicuramente frutto di una mediazione tra le parti.
Pensa che possano essere portate delle modifiche al testo in Parlamento?
L’importante è non stravolgere l’impianto e l’equilibrio della riforma. Occorre chiarire meglio alcune questioni delicate, come la parte dei licenziamenti economici, introducendo maggiori garanzie per i lavoratori in caso di licenziamenti fraudolenti e senza reali motivazioni di natura economica, adottando fino in fondo il modello tedesco.
Un recente sondaggio ha mostrato come la maggioranza dei lavoratori italiani – che operano nel privato come nel pubblico – sia favorevole all’estensione di nuove misure di flessibilità in uscita anche in ambito pubblico, cosa su cui il Governo ha messo un freno. Lei cosa ne pensa?
Il pubblico impiego ha già norme molto più severe sul piano dei licenziamenti individuali. Il problema è il rispetto di queste norme. Ha fatto bene il Governo a chiarire questo punto. Qui non si tratta di creare guerre dei poveri tra lavoratori privati e pubblici. Occorre affrontare il tema dell’armonizzazione tra pubblico e privato senza demagogia e soprattutto senza fare disastri di natura legislativa. Si è aperto un tavolo di confronto con il ministro della Funzione pubblica. Troveremo una soluzione equilibrata.
Come valuta l’apporto delle singole Parti sociali e l’approccio di questo Governo alla concertazione?
Il Governo ha cambiato la sua strategia durante la trattativa. Il tavolo di confronto con il Sindacato era partito con alcune ipotesi strampalate preconfezionate nelle aule universitarie. Si parlava di un contratto unico, della fine della cassa integrazione, di salari minimi garantiti. Tutto questo non c’è più nella riforma presentata dal governo. Il confronto con il Sindacato ha prodotto un impianto che ha salvaguardato i cardini dell’attuale sistema. Ci sarà una lunga fase di transizione che ci dovrebbe portare al nuovo assetto senza stravolgimenti e speriamo anche con le necessarie risorse economiche per affrontare la crisi economica.
Il vostro Segretario generale aggiunto, Giorgio Santini, ha dichiarato che il 19 marzo 2012 al tavolo Governo-Parti sociali si è discusso delle stesse cose di cui si discuteva il 19 marzo 2002, giorno in cui Marco Biagi è caduto vittima delle Br. Cosa frena la modernizzazione del lavoro in Italia?
Le riforme del lavoro hanno trovato sempre nel nostro Paese ostacoli di natura ideologica ed estremismi, da una parte e dell’altra. A farne le spese spesso sono stati intellettuali e riformatori seri come Marco Biagi che sono stati assassinati proprio perché difendevano con coraggio e coerenza le loro idee. La Cisl ha sempre privilegiato la strada del confronto e del dialogo sui temi della necessaria modernizzazione del mercato del lavoro. Le riforme non vanno calate dall’alto, ma devono essere il frutto di un negoziato tra governo, imprese e Sindacato.
(Giuseppe Sabella)