È stato esonerato a sei gare dal termine del campionato e con una finale di Tim Cup ancora da disputare: se non è una follia, poco ci manca. Dopo un lungo incontro avuto a Villa San Martino con Adriano Galliani e Cristian Brocchi, Silvio Berlusconi ha deciso di affidare il timone del Milan a quest’ultimo, allenatore della Primavera rossonera, nonché ex centrocampista del Diavolo nei primi anni Duemila.
Da settimane – pardon, mesi – filtravano notizie di un Berlusconi insodisfatto del lavoro svolto da Mihajlovic, incapace, secondo il patron rossonero, di plasmare un Milan tutto gioco e spettacolo: il problema è che con i giocatori che scorazzano oggi a Milanello neppure Pep Guardiola avrebbe potuto portare questa squadra più in alto del sesto posto. Anzi, il serbo nella sua avventura milanista ha tirato fuori dal cilindro diverse ottime prestazioni, soprattutto di fronte ad avversari ostici.
Alcuni esempi? La vittoria sulla Lazio all’Olimpico, i pareggi con Roma e Napoli in transferta, gli eccellenti trionfi casalinghi nel derby e nel match contro la Fiorentina. Senza dimenticare il traguanto raggiunto della finale di Coppa Italia. Proprio la sfida del 21 maggio doveva essere, nelle intenzioni presidenziali, la bilancia che avrebbe pesato la stagione di Mihajlovic: in caso di vittoria il tecnico sarebbe rimasto al suo posto, altrimenti l’esonero sarebbe stato inevitabile.
Non c’è stato tempo di attenedere la fine del campionato o semplicemente non si è voluto aspettare. E così, utilizzando la tattica preferita da Zamparini in quel di Palermo, il Milan ha esonerato in modo improvviso il proprio allenatore, senza dargli la possibilità di riportare in bacheca un trofeo dopo anni di astinenza. I motivi della separazione? Sicuramente avranno influito gli appena due punti collezionati nelle ultime cinque gare, ma a monte di tutto ciò vi è la filosofia di Mihajlovic, mai veramente gradita al Presidente: quel gioco poco brillante predicato dal serbo che fa a pugni con il calcio-champagne sognato da Berlusconi.
I problemi adesso sono almeno due: non solo il Milan potrebbe terminare l’annata nel peggiore dei modi, finendo scavalcato dal Sassuolo e uscendo con le ossa rotte dal confronto con la Juventus, ma anche la carriera di Brocchi, bravo allenatore ma ancora inesperto per certi livelli, rischia di bruciarsi ancor prima di iniziare.
Mihajlovic ha lasciato il Milan dopo aver collezionato 49 punti in 32 giornate; calcolatrice alla mano, 6 lunghezze in più rispetto a quanto raccolto dal suo predecessore Inzaghi nello stesso lasso di tempo. Ma l’eredità che Sinisa ha lasciato al club rossonero è molto più profonda e non si ferma soltanto ai freddi numeri. Prima di tutto il serbo è riuscito a rivitalizzare giocatori ormai dati per spacciati: è il caso di Alex e Honda.
Secondo, Mihajlovic ha fatto esordire in prima squadra i giovanissimi Donnarumma e Calabria, vere e proprie gemme da svezzare e far crescere con pazienza e parsimonia. Ma soffermiamoci sul baby portiere: in quanti avrebbero avuto il coraggio di relegare Diego Lopez in panchina per far spazio a un 16enne? Grazie a buone prestazioni, Donnarumma è subito finito nel mirino di numerose corazzate europee, pronte ad offrire valanghe di denari per strappare l’enfant prodige milanista.
Infine, nell’ultima metà di campionato il Milan aveva trovato un’identità – o qualcosa che vagamente le assomigliasse – in un , forse un po’ rozzo ma sicuramente più efficace dello svolazzino 4-3-1-2 voluto dalla società. Insomma, Mihajlovic ha lasciato al Milan un’eredità: adesso bisogna farla fruttare al meglio.
(Federico Giuliani)