Il rapporto della Commissione Ue sulla sostenibilità delle finanze pubbliche esprime un giudizio positivo sull’efficienza della legge Fornero. Per Bruxelles l’attuale sistema pensionistico italiano nel lungo termine è sostenibile, anche se la Commissione constata che è in atto un dibattito per limitare i tagli attuati finora. Implicito quindi che se il governo introdurrà la flessibilità pensionistica nel corso di quest’anno, come annunciato dal ministro del Lavoro Giuliano Poletti, a quel punto si porrà un problema di sostenibilità per le nostre finanze pubbliche. Ne abbiamo parlato con Luigino Bruni, professore di Economia politica all’Università Lumsa di Roma.
Alla luce di quanto afferma la Commissione Ue, la legge Fornero va cambiata oppure no? Con la legge Fornero l’Italia ha attuato una riforma del sistema pensionistico che altri Paesi europei non hanno ancora fatto. In questo modo si realizza un passaggio a un sistema più sostenibile, con un invecchiamento della popolazione che è molto maggiore di quello di 25-30 anni fa e con uno sbilanciamento dell’asse sociale sugli anziani rispetto ai giovani. Con questo però non si può certo dire che il sistema pensionistico italiano sia il migliore dei mondi possibili.
Che cosa può essere migliorato? La legge Fornero ha dei buchi dal punto di vista dell’equità e dell’efficienza. Sono simpatetico con il presidente Inps, Tito Boeri, quando si immagina di incoraggiare il part time per i lavoratori over 55. Tutte le sue proposte vanno nella direzione di una riforma nella riforma. Il welfare è qualcosa che può essere sempre riformato. Ci sono quindi molti margini di manovra, soprattutto sul fronte dell’equità, e non soltanto di quello dell’efficienza.
Nel momento in cui si intervenisse sulla flessibilità, poi Renzi dovrebbe fare i conti con la Commissione Ue? No. Ritengo possibile attuare delle riforme che siano compatibili con le regole europee sul bilancio. Sul part time per gli over 55, i veti sono posti soprattutto dai sindacati e non invece dall’Europa: è un problema tutto interno che riguarda i diritti acquisiti. Io vedo più vincoli politici e sindacali, in quanto c’è chi ha paura di perdere ciò che ha acquisito.
Quali sono questi diritti acquisiti cui fa riferimento? In alcuni ruoli apicali della Pubblica amministrazione si gode di pensioni che sono di gran lunga superiori rispetto a chi andrà in pensione tra cinque anni. In ogni transizione abbiamo delle anomalie, in termini di efficienza e di equità. Occorre intervenire con delle compensazioni che rendano un po’ meno inique le uscite di chi va in pensione oggi piuttosto che tra cinque anni. Per quanto possiamo immaginare sistemi contributivi e retributivi, noi sappiamo benissimo che il sistema pensionistico di un Paese non è solo un contratto privato, ma ha anche una dimensione solidaristica. Dobbiamo quindi tenere conto delle esigenze di efficienza ed equità.
È quello che fa la legge Fornero?
No, la legge Fornero è troppo sbilanciata sull’efficienza e meno sull’equità. Da questo punto di vista quindi si può assolutamente rimediare. Basti pensare all’iniquità commessa sugli esodati, che è nata dall’eccessiva velocità con cui è stato affrontato il problema. Credo e spero che si possa fare ancora molto per cambiare questa legge.
Dove si trovano i soldi per la riforma proposta da Boeri?
Bisogna vedere per chi e per quanto tempo ci sarebbero questi costi. Con la proposta di Boeri, nei primi tre anni si renderebbe necessario un allentamento del vincolo di bilancio. Nell’ottica di medio lungo periodo però le idee del Presidente Inps sono molto valide. Occorrono governi che abbiano la forza di fare scelte oltre il ciclo di politica economica. Se l’unico obiettivo è quello di farsi rieleggere, scelte difficili non si faranno mai. Una riforma delle pensioni va congegnata su un arco temporale di 30-40 anni, e non avendo in mente le prossime elezioni amministrative.
(Pietro Vernizzi)