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La riforma del lavoro non ha, di fatto, toccato l’apprendistato. Attraverso molteplici dichiarazioni di intenzione lo ha indicato come il principale strumento di inserimento verso un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, ma senza modificarlo. Possiamo dunque dedurne che il Testo Unico – che peraltro ha già contribuito a semplificare la normativa rendendola più fruibile – sia considerato un ottimo punto di partenza per il suo sviluppo. Paradossale è invece che, ancora oggi, i principali contratti collettivi non ne abbiano disciplinato l’applicabilità, rischiando di bloccarne l’utilizzo a partire dal 25 aprile. Sarebbe certamente auspicabile che chi fa proclami si impegni concretamente per rendere operativo lo strumento, evitando così di perdere ulteriormente di credibilità.
Detto questo va però anche rilevato che la normativa in sé non basta a spiegare lo scarso successo che tale forma di contratto ha riscosso sinora: è infatti necessario distinguere le varie forme di apprendistato in relazione al loro compito per poter chiarire meglio quali fattori consentirebbero a tale istituto di funzionare veramente.
L’apprendistato in “diritto-dovere” e quello in “alta formazione” utilizzano infatti il lavoro in azienda quale supporto alla formazione scolastica e attualmente risentono di due gravi problemi. Innanzitutto un costo eccessivo (basti pensare che in Germania la retribuzione non supera il 30% contro l’85% medio italiano): poiché non è prevista una soluzione per legge, appare necessario che si stipulino efficaci accordi territoriali, settoriali o addirittura aziendali di secondo livello. L’altro problema risiede invece nell’incoerenza del nostro sistema scolastico che solo in pochissimi casi – come, ad esempio, in Lombardia – prevede l’esistenza di adeguati percorsi di istruzione triennale collegati al lavoro manuale, che ben possano essere coniugati con periodi significativi di alternanza scuola-lavoro.
Per ciò che concerne invece l’apprendistato “professionalizzante”, semplificata la norma e – speriamo – reso fruibile in tempi brevi dai contratti collettivi, il punto fondamentale rimane quello di far cogliere a persone e imprese l’importanza strategica dell’investimento in formazione a esso connesso. Una logica che miri ad abbassare le retribuzioni senza investire sui giovani, né utilizzare efficacemente le eventuali risorse pubbliche messe a disposizione per la formazione non può infatti condurre da nessuna parte! Basta giocare al ribasso: ciò che occorre è la capacità di dotarci progressivamente di figure professionali competenti, di valore, e per questo sempre più reimpiegabili.
Da questo punto di vista le Agenzie per il lavoro – attraverso l’utilizzo del contratto di apprendistato in somministrazione – potranno svolgere un compito di crescente importanza. Innanzitutto, evolvendo loro stesse verso un ruolo più attivo nel farsi carico dello sviluppo della professionalità della persona attraverso i rapporti di lavoro flessibili di cui le aziende hanno bisogno. Va sottolineato che ciò sarà tanto più possibile quanto più queste saranno capaci di gestire i percorsi di sviluppo degli apprendisti, impiegandoli su più contratti di somministrazione in aziende diverse, attraverso un impegno formativo continuo.
In secondo luogo, l’intervento delle Agenzie può contribuire in modo significativo a sgravare le imprese da compiti non “core”, quali le pratiche amministrative, ed educarle a un utilizzo della formazione più adeguato, supportandole nella costruzione di percorsi di formazione a basso costo ed in grado di generare valore in azienda.
Da ultimo, se le Agenzie sapranno interpretare correttamente il proprio ruolo di intermediari, di infrastrutture competenti sul territorio, potranno fornire un contributo insostituibile alle persone nella costruzione della propria employability.
Solo a queste condizioni l’apprendistato potrà rappresentare non solo uno strumento trasparente e rigoroso, non solo una forma di rapporto lavorativo equo tra le parti, ma soprattutto un indispensabile strumento in grado di favorire la crescita del nostro Paese.