Le birre in frigo: comprate. La maglia di Emergency: stirata. Qualche frase a effetto sulla pace e sulla precarietà per il rimorchio: scaricata dalla rete. Beh, diciamo che non manca niente per vivere il primo maggio o almeno per andare al concertone di Piazza San Giovanni. Per la cronaca quest’anno il tema sarà “La musica del desiderio – La speranza, la passione, il futuro”.
Probabilmente è più difficile fare il punto sulle posizioni dei principali sindacati sulle scelte del Governo per il rilancio dell’economia e dell’occupazione. Forse lo stato di salute del sindacalismo italiano è addirittura peggiore, a proposito di concertone, di quello della nostra musica: un primato decisamente poco invidiabile. Fino a pochi mesi fa, anche se sembrano secoli, ai tempi della corte di Re Silvio e delle gare di burlesquè era tutto più semplice. Da una parte c’era il sindacato dei no, dei “cattivi” che si contrapponeva, quasi frontalmente, a un processo di costruzione di una grande casa per un nuovo sindacalismo riformatore e riformista, dove si proponevano di convivere tradizioni e storie diverse.
L’arrivo dei “serissimi” guidati da Super Mario Monti ed Elsa Fornero sembra avere sparigliato le carte. La proposta di una complessa e organica riforma del mercato del lavoro con la quale sarebbe dovuta miracolosamente sparire la precarietà ha fatto il resto. La lettura della cruda realtà ci dice infatti che a distanza di mesi dall’inizio del dialogo, un estenuante tira e molla tra Governo, Politica e Parti Sociali, si sta discutendo di una proposta ancora in progress per la quale non sono, a oggi, chiari i tempi della sua definitiva approvazione.
Le grandi confederazioni sindacali vivono così un periodo di unità a geometria variabile. Tutti uniti nell’abbandonare la sala quando interviene il Ministro Fornero (non succedeva una cosa del genere dai tempi di Donat Cattin). Tutti uniti nella sacrosanta battaglia per un fisco più giusto che non mangi la tredicesima dei lavoratori. Sindacati divisi nella valutazione dell’opportunità che un Ministro senta la necessità di spiegare la sua riforma dentro le fabbriche. In ordine sparso quando si tratta di decidere su come, dove e quando eventualmente scioperare: ci faranno sapere.
Tutto questo accade mentre non si rinnovano i contratti collettivi, gli stipendi hanno il più basso potere d’acquisto degli ultimi trent’anni e la crisi continua a mordere il sistema delle imprese e il Paese tutto. Le nostre cronache sono, ahimè, sempre più spesso caratterizzate dalle tragiche vicende di lavoratori o di piccoli e medi imprenditori che prendono la drammatica decisione di togliersi la vita. Nonostante la passione per il proprio lavoro, infatti, queste persone hanno perso la speranza e la capacità di costruire e immaginare un futuro per sé, per la propria famiglia e per il mondo che li circonda.
I tempi difficili hanno chiamato e obbligato la politica e le istituzioni a un maggiore senso di responsabilità pena la sostenibilità e la credibilità stessa del sistema. È da chiedersi se altrettanto stia accadendo nelle Parti Sociali chiamate oggi a confrontarsi con serietà su una riforma del lavoro che, a prescindere dal giudizio che se ne possa dare, influirà significativamente sul mondo del lavoro nei prossimi anni.
Questo rappresenterebbe, in particolare, un messaggio forte per le giovani generazioni che sembrano aver perso la speranza di poter costruire anche nella dimensione lavoro la propria realizzazione individuale e collettiva. Una riflessione questa da cui non si deve ritenere esonerata, è opportuno precisare, la parte di rappresentanza delle imprese, a partire dalla Confindustria del neo-presidente Squinzi. Probabilmente è arrivato, infatti, il tempo per tutti di ripensare la propria presenza e il modo di agire in un mondo in profondo mutamento e continua trasformazione.
Una piccola precisazione: che cambi tutto, ma non la buona musica, quella deve continuare a essere “ribelle”, buon Primo Maggio.