Niente di nuovo sul fronte parlamentare, almeno dal punto di vista della conciliazione tra famiglia e lavoro. Dopo l’accordo tra Pd e Pdl sulla riforma del mercato del lavoro e la “maratona” in Commissione per licenziare il testo prima del voto al Senato, alle novità sulla flessibilità in entrata e quella in uscita non hanno fatto riscontro analoghe novità sulla flessibilità all’interno del mercato del lavoro.
Eppure è da qui che si sarebbe dovuti partire per imprimere una svolta al problema della conciliazione. Non, ad esempio, dalle polemiche sull’impegno paritario dei due sessi nei lavori domestici, a dispetto dei dati Istat diffusi la scorsa settimana che parlano di una minoranza di uomini dediti ad attività come la preparazione della cena o il caricamento della lavatrice.
Dati che tuttavia cambiano a seconda della fascia di età considerata, mostrando l’avanzata di una generazione di giovani coppie in cui la distribuzione dei carichi è decisamente più equilibrata, com’è nella logica dei tempi che cambiano. La battaglia sposata con fervore dal ministro Fornero nasce insomma già vecchia: oltre al fatto che, come ha fatto notare lo scrittore Antonio Scurati, la buona volontà dei mariti nella condivisione dei lavori domestici con le mogli non cambia di molto la situazione, in mancanza di un contesto propizio.
Un contesto che non è fatto solo di servizi di childcare (come i nidi invocati da Scurati): ma anche, e soprattutto, di organizzazione del lavoro – di orari elastici, di apertura a misure come il part-time e il job-sharing, di diffusione di una nuova cultura che punti non più alla timbratura di un cartellino e alla presenza in un ufficio, ma al risultato da garantire. Affrontare il problema della conciliazione armati di voucher per il baby sitting – sostitutivi dell’unico tempo a oggi concesso alle madri lavoratrici per stare con i loro figli in un’età delicata, e unica, come quella neonatale -, significa quanto meno sottovalutarne la portata. Ma anche aggiungere provvedimenti di natura fiscale rischia di non bastare, se non si affronta il nodo della gestione dei tempi e degli spazi che consentono ai genitori lavoratori di restare genitori, senza cessare di essere lavoratori.
Dietro l’apparenza di battaglie scomode, insomma, sembra nascondersi una comoda riluttanza ad affrontare di petto il vero nodo inamovibile della conciliazione. Se famiglia e lavoro sono in contrasto, non è possibile sanare questo contrasto sempre e comunque a partire da uno solo dei due termini, la famiglia; incoraggiandola a fare un passo indietro, delegando ad altri la cura, magari sobillando i suoi componenti gli uni contro gli altri. È sul lavoro che bisogna intervenire, spinti – come ha dichiarato su queste pagine Vittoria Maioli Sanese – dalla considerazione della famiglia come una ricchezza da coltivare. Un obiettivo che la riforma del lavoro, ora passata in aula, può ancora fare suo.