La Juventus che si laurea campione d’inverno ha stupito praticamente tutti. Qualche anno fa era la norma, come ha ricordato Gigi Buffon, ma, dopo due settimi posti consecutivi, era lecito nutrire più d’un dubbio. Persino una firma storica del giornalismo sportivo come Roberto Beccantini è rimasto sorpreso, come leggerete nell’intervista che vi proponiamo. Con il grande ‘Beck’, uno che non ha bisogno di troppe presentazioni, tiriamo le somme della cavalcata bianconera nel girone d’andata che si è appena concluso. Intervista concessa in esclusiva per IlSussidiario.net.
Juventus campione d’inverno: alzi la mano chi l’avrebbe pronosticato a inizio stagione. Lei lo avrebbe detto?
«No, assolutamente. Tanto è vero che la mia griglia d’agosto era questa: 1) Milan, 2) Inter, 3) Napoli, 4) Lazio, 5) Udinese, 6) Juventus».
Conte come Capello: nella Juve di Conte rivede qualcosa di quella «capelliana»?
«Poco. Quella era una squadra che, a seconda delle esigenze, alternava l’aggressione all’attesa, la scimitarra al fioretto. Questa è sempre sul pezzo: laboriosa, compatta, frizzante. Non vive di solo fisico, ma anche di splendide azioni, di apprezzabile coralità. I gol non sono quasi mai brutti, sporchi e cattivi. Al contrario, tendono al bello come, per esempio, il ricamo di Vucinic al Cagliari. Puro barcellonismo. Intendiamoci: è un limite, non un pregio. Ogni tanto leggo di Juventus cinica. Magari. Forse a Lecce. La Juventus attuale è tutto tranne che cinica».
E’ d’accordo se diciamo che, forse, il vero valore aggiunto di questa Juventus è proprio Conte?
«Adoro gli allenatori che sanno scendere in corsa dal predellino dell’integralismo tattico. Conte è passato dal 4-2-4 al 4-3-3. Buon segno. Antonio ha dato il massimo e fatto miracoli. In campo, però, vanno i giocatori. Mai dimenticarlo. Piano con l’enfasi dei valori aggiunti. Conosco il metro italiano. Dal leccaggio al linciaggio, non appena cambia il vento».
Pirlo si è confermato come uno dei migliori registi al mondo: giusto che il Milan recrimini sul suo addio o, semplicemente, dopo tanti anni era giusto cambiare?
«Non mi risulta che il Milan recrimini. Se mai, recriminano i tifosi milanisti, non tutti. Allegri ha vinto lo scudetto con “poco” Pirlo, anche questo va detto. Io non lo avrei lasciato andare. Andrea è il classico giocatore più da teatro europeo che da balera nazionale, nel senso che piace molto più all’estero (Johann Cruijff stravede per lui) che nei nostri bar sport. Non a caso, il Milan ha fatto scelte più muscolari (Boateng), le stesse che una volta faceva la Juventus».
Oltre a Pirlo, quali giocatori della Juve le sono piaciuti di più?
«Il Marchisio fino alla sosta di Natale. Lichsteiner. Pepe. Barzagli. Buffon, quello “vero”. In pratica, tutti: tranne Krasic».
Chiellini è meglio in mezzo o sulla fascia?
«Lo preferisco sulla fascia. Non che in mezzo non se la sappia cavare, anzi. Il rischio è l’irruenza, Giorgio è un marine che non porge mai l’altra guancia, e neppure l’altro gomito. Con Chiellini, le moviole avranno sempre da mangiare…».
Giusto, secondo lei, insistere con il 4-3-3, in modo da schierare sia Vidal sia Marchisio?
«Giusto. Ma giusto, anche, non fossilizzarsi mai. Essere coerenti non significa essere dogmatici. I sistemi di gioco vanno calibrati sulle caratteristiche dei giocatori disponibili. Non dico che una squalifica o un infortunio debba determinare un terremoto, ma qualche ritocco, in astratto, potrebbe rivelarsi prezioso».
E’ una Juventus che non fa turnover: scelta rischiosa, alla lunga?
«In teoria, vista la bocciatura europea, non dovrebbe esserlo. In pratica, occhio a infortuni e squalifiche: la rosa, specialmente in difesa e a centrocampo, non è guarnita come la classifica suggerirebbe».
A pochi giorni dalla fine del mercato, si aspetta qualche colpo a sorpresa da Marotta?
«No».
Meglio Caceres o Guarin (uno dei due, per via della questione extracomunitari)?
«Caceres. Se si fa male Lichsteiner, chi mette Conte? A metà campo, darei fiducia a Marrone e non perderei di vista il romanista Pizarro. In cassa non c’è un euro: non mi va di illudere i tifosi».
Cosa manca a questa Juventus per diventare, da forte che è, fortissima?
«Un altro Ibrahimovic, un altro Thiago Silva».
Le rivali: chi temere di più, Milan a parte? Ha ragione Ranieri quando dice che «non ci sono squadre stratosferiche»?
«Milan a parte, temo la Juventus. Da quando è tornata in serie A, dopo Calciopoli, nei gironi di ritorno ha sempre raccolto meno punti che all’andata. Da Ranieri a Delneri. Poi, nell’ordine, l’Inter, l’Udinese, la Lazio e anche la Roma, alla quale Luis Enrique, difeso a spada tratta dalla società, ha dato un gioco non meno piacevole di quello di Conte e Guidolin. La qualità media della Roma è tutt’altro che bassa. E poi Francesco Totti: un rigorino di qua, una punizione di là, un po’ di pennello e un po’ scalpello. A proposito di valori aggiunti».
(Alessandro Basile)