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“La realtà è ostinata” – scrive Bulgakov ne Il maestro e Margherita. E in effetti persino due tabù come la discussione sull’articolo 18 nelle aziende private e – annuncio di pochi giorni fa – addirittura nella Pubblica amministrazione, sono diventati oggetto di riforma, ineludibilmente, anche se per ora solo parzialmente. La Pubblica amministrazione del nostro Paese soffre anzitutto di un evidente problema di efficienza, cui si aggiunge, com’è facilmente osservabile, quello di sovrannumero o non adeguata collocazione del personale. Problemi gravi questi, sui quali sembra davvero difficile poter agire senza la leva di un forte ridimensionamento e turnover delle risorse in organico.
Ma soffermiamoci su alcuni dati – di realtà, appunto – relativi alla Pubblica amministrazione in Italia e proviamo a confrontarli con quanto avviene all’estero. Come emerge da una recente ricerca condotta dalla Cgia di Mestre, se la nostra Pubblica amministrazione fosse efficiente come quella tedesca potremmo risparmiare 75 miliardi di euro l’anno! Parimenti, se la nostra macchina dello Stato costasse, ad esempio, come quella austriaca (13,8% del Pil) avremmo meno spesa pubblica per un valore pari a 40 miliardi di euro. Se invece arrivasse a costare anche solo come quella spagnola (15,9% del Pil), risparmieremmo in termini assoluti 8 miliardi di euro l’anno. Nel periodo 2005-2008, la nostra spesa pubblica si è attestata invece a 248 miliardi di euro, cifra che rappresenta il 16,4% del Pil! Anche senza voler giungere ai livelli di efficienza della Germania (11,5% del Pil), come non porsi l’obiettivo di migliorare significativamente il funzionamento della nostra Pa?
Nella stessa ottica, se guardiamo ai dati relativi al numero di dipendenti pubblici in rapporto percentuale rispetto alle forze lavoro complessive (fonte Ocse 2011, dati 2008), scopriamo tra i pochi dati disponibili (non figura, ad esempio, quello austriaco) che l’Italia ha un indice di occupazione di dipendenti pubblici pari al 14,3% del totale, la Spagna del 12,3%, la Germania del 9,6%. La Pubblica amministrazione italiana soffre dunque evidentemente di un grave problema di produttività. Per migliorarla è possibile agire su due versanti: riducendo i costi, oppure – ancor più importante – aumentando il valore di ciò che viene prodotto, sia in termini qualitativi che quantitativi.
Cosa possiamo dedurre da tutto ciò? Che se vogliamo consentire al nostro Paese di avere la capacità di reggersi sulle proprie gambe, di riprendere a svilupparsi e a distribuire ricchezza ai suoi cittadini – sostenendo così anche un sistema di welfare adeguato – se vogliamo tornare a godere della credibilità internazionale, è necessario non indugiare in ulteriori discussioni. Bisogna agire, e subito, sulla produttività della nostra Pubblica amministrazione. Sia sul fronte dei minori costi che su quello del maggior valore.
Quanto alla riduzione dei costi, agendo sul personale in esubero in alcuni settori della Pa sarà fondamentale fare molta attenzione a procedere gradualmente, per non creare ulteriori drammatiche situazioni di disoccupazione. E, soprattutto, trovare soluzioni di ricollocazione per i lavoratori, impostando da subito coraggiosi percorsi di rilancio professionale di queste persone.
E per generare maggiore valore? In un Paese in cui il posto fisso nel pubblico impiego è stato vissuto a lungo come un ammortizzatore sociale, bisogna dare inizio quanto prima a iniziative di sostegno ai lavoratori pubblici, che li conduca a produrre maggior valore aggiunto, a confrontarsi con obiettivi e risultati, a divenire maggiormente responsabili del proprio operato: da questo punto di vista il recente “mezzo passo indietro” circa i premi di produttività risulta incomprensibile perché va nella direzione opposta a quanto necessario.
Abbiamo, tutti – Parti sociali, partiti politici, associazionismo datoriale, sindacati e operatori privati – un compito che la realtà attuale inesorabilmente pone davanti ai nostri occhi e al nostro cuore: divenire consapevoli ed efficaci fattori di sviluppo del nostro Paese, contribuire all’evoluzione della mentalità delle persone che incontriamo nei luoghi di lavoro, riflettere sulla natura stessa della nostra cultura del lavoro, della nostra visione sociale.
È ormai evidente che in Italia la pretesa del posto fisso, a discapito di efficacia, efficienza e cura dell’impiegabilità delle risorse – insieme ad alcune spregevoli dinamiche di sostegno partitico, barattato con posti pubblici inutili – hanno generato un Sistema Pubblica amministrazione assolutamente improduttivo, burocratizzato e talvolta avvilente persino per chi ci lavora, che sta contribuendo a condurre il nostro Paese sull’orlo del baratro. Su chi agire allora? La risposta non può che essere sulla persona, aiutandola a ritrovare un ruolo da protagonista nella propria storia, nel proprio lavoro. Perseguiremmo in questo modo il bene di ciascuno e, allo stesso tempo, quello di tutti.