«La riforma delle pensioni si può fare con 3 miliardi di euro l’anno. È un terzo di quanto è stato speso per il bonus da 80 euro, anche se nella realtà è una misura molto più importante sotto il profilo sociale e occupazionale». Lo rimarca Roberto Simonetti, deputato della Lega nord, segretario della commissione Lavoro alla Camera. La flessibilità pensionistica, più volte annunciata dal governo, è però ancora in alto mare e secondo Simonetti sarà l’ultima cartuccia che il governo Renzi userà prima di andare alle elezioni.
Onorevole Simonetti, a che punto siamo con la riforma delle pensioni?
La commissione Lavoro alla Camera ha preso la proposta Damiano come testo base per la flessibilità. Per non mettere troppa carne al fuoco, e poi non ottenere nulla dal governo e dall’Inps, ci siamo concentrati sul disegno di legge che ha le maggiori probabilità di riuscita.
Quali passi state compiendo per fare approvare il ddl Damiano?
Abbiamo fatto quantificare all’Inps le opzioni del ddl Damiano. Quest’ultimo prevede di poter andare in pensione con 63 anni e 7 mesi di età, 35 anni di contributi, una penalizzazione del 3% annuo, quindi del 9% per tre anni. Il 30% dei lavoratori anziani vuole continuare a svolgere la sua professione, mentre il 70% vorrebbe andare in pensione.
E quindi?
Su queste basi l’Inps è arrivata a una quantificazione annua di 1,5 miliardi per il 2017, 2,5 miliardi per il 2018 e a decorrere dal 2019 altri 3 miliardi o poco più. Se ci aggiungiamo anche la Quota 41, cioè la norma per i lavoratori precoci, sono 4-5 miliardi a decorrere dal 2017.
Dove si trovano queste somme nelle attuali ristrettezze?
In una finanziaria da 35 miliardi, se si vuole, 3 miliardi si trovano. Il governo ha trovato 4 miliardi per l’Imu sulla prima casa, 10 miliardi per il bonus da 80 euro, 500 milioni per le periferie, e ha inoltre destinato 500 euro per ciascun professore. Su 3 miliardi in termini di pensione lorda il governo ha inoltre un ritorno sotto forma di gettito Irpef. In più si liberano dei posti di lavoro, risparmiando i soldi investiti in assistenza per la collocazione dei giovani.
Nel momento in cui il governo ha annunciato che taglierà ulteriormente le tasse, il bilancio non va ad assottigliarsi ancora di più?
Bisogna capire che cosa si intende per taglio delle tasse. Quest’ultimo è un fine cui tutti aspirano, ed è giusto perseguirlo, soprattutto per quanto riguarda le tasse sul lavoro e sui redditi. È chiaro che la riforma delle pensioni è necessaria dal punto di vista sociale e occupazionale. Ma soprattutto non è sulla pelle dei lavoratori e dei pensionati che bisognerà mettere a posto i conti dello Stato. I conti dello Stato si mettono a posto in un altro modo.
Quale?
Bisogna attuare il federalismo fiscale attraverso i costi standard, realizzare una seria spending review, tagliare tutte le pensioni di invalidità false e i vari sprechi. Se Renzi va avanti con questa partita noi ci siamo. Se invece vuole fare pagare i tagli delle tasse sulla pelle dei lavoratori che vorrebbero andare in pensione, qualche dubbio ci può nascere.
Inizialmente la riforma delle pensioni doveva essere fatta all’inizio del 2016, ora sembra essere slittata in autunno…
L’obiettivo del governo è tenersi le cartucce per la campagna elettorale. Fino a quando non è certo di andare alle elezioni, Renzi non giocherà questa carta.
Nessuno però sa veramente quando andremo al voto…
In realtà ci sono due scenari. Se Renzi vince il referendum sulla riforma costituzionale, con il vento in poppa cercherà di andare alle elezioni. Non potrà però farlo perché all’inizio del 2017 il parlamento dovrà approvare la legge di attuazione dell’elezione indiretta dei senatori. Se invece perde il referendum, la carriera di Renzi finirà come ha promesso, ed essendo il nostro premier un uomo di parola non voglio dubitare che non la rispetti.
(Pietro Vernizzi)