Il documento preparatorio dell’incontro fra il presidente della Commissione europea Juncker e il nostro Governo presentava molti punti di riflessione per il rilancio dell’Europa, oltre alle richieste di flessibilità legate alla politica economica di breve periodo. Si sa che la discussione avviata da Renzi sulle politiche europee è tesa ad avere maggiori margini di manovra, visto che il nostro debito pubblico continua a pesare fortemente sugli impegni per una politica economica che sia di sostegno alla crescita di consumi e investimenti. La necessità di introdurre stock a favore della domanda, infatti, si scontra con i vincoli posti dall’Europa. Avremmo la necessità di diminuire la pressione fiscale e insieme di aumentare gli investimenti pubblici per rilanciare l’economia. Ma queste scelte si scontrano con i vincoli all’indebitamento e la necessità di diminuire lo stock di debito pubblico già esistente. La politica di riforme avviate, dati i limiti di breve periodo della spending review, non consentirebbe di procedere con le scelte necessarie.
La riflessione però va allargata dai problemi di ogni singolo Paese a una visione europea complessiva. L’interpretazione rigida delle regole applicate in questi anni sta portando i paesi più deboli ad avere difficoltà a uscire dalla crisi e nello stesso tempo non ha sostenuto nemmeno il rilancio dei paesi che pure avevano parametri economici migliori. La riflessione indotta dal nostro governo ai partner europei pone perciò il nodo non solo di come riconoscere all’Italia una flessibilità che permetta di compiere le scelte necessarie per lo sviluppo, ma di costruire le basi per una nuova politica economica di rilancio di tutta l’Europa.
In questo senso il paragrafo del Position paper dedicato al lavoro e alla disoccupazione si propone come un esempio di come impostare in modo nuovo le politiche europee per far fronte ai problemi innestati dalla crisi economica.
Sul tema lavoro l’Italia si presenta con il pieno rispetto degli impegni. La riforma introdotta con il Jobs Act ha mutato radicalmente l’impostazione di fondo del nostro mercato del lavoro. Da uno caratterizzato da tutele squilibrate a favore di chi era già inserito, con la nuova legislazione si è favorito un mercato più aperto, con tutele estese a tutti i lavoratori e un modello di ammortizzatori che favorisce la mobilità. Un nuovo sistema di servizi al lavoro assicurerà poi che chi si trova in difficoltà sia sostenuto in modo proattivo per sviluppare la propria occupabilità e aiutato a trovare un nuovo inserimento lavorativo. Forte di questo successo interno, il Governo italiano apre però una riflessione complessiva.
Il ragionamento proposto ruota intorno alla disimmetria esistente fra le politiche europee. I vincoli posti alle politiche fiscali e monetarie limitano la possibilità per un solo Paese di contrapporsi agli effetti sull’occupazione in caso di asimmetrie negli effetti provocati dalla crisi internazionale. Se nel breve periodo ciò ha significato una crescita della disoccupazione solo nei paesi più esposti agli effetti della crisi, ciò non è più vero negli ultimi anni. Anche se con tassi di disoccupazione che restano diversi, le difficoltà sul mercato del lavoro si sono estese. Cresce la disoccupazione, cresce la sua durata e si estende la fascia di povertà sociale dovuta alla crisi del lavoro.
L’effetto della forte disoccupazione di alcuni paesi che rappresentano una quota importante dell’Europa diventa una diminuzione complessiva della produttività e una perdita di valore del capitale umano. Il problema occupazionale tende a estendersi e coinvolge man mano tutti i paesi europei ponendo una questione sociale di più ampia portata. L’estendersi di populismi egoistici, anti-europei e per il ritorno a egoismi nazionali sia contro l’Europa che contro le politiche per affrontare le migrazioni in atto, trovano nelle difficoltà del lavoro un humus per la loro diffusione.
Per questo è stata avanzata le proposta di creare un fondo europeo per le politiche sociali a sostegno del lavoro che abbia un meccanismo comune di intervento per tutti i paesi europei. Si tratterebbe di un fondo finalizzato a sostenere i paesi con lo squilibrio più forte al fine di favorire il riassorbimento della disoccupazione. Il fondo sovranazionale non peserebbe pertanto sui parametri rigidamente imposti in questi anni alle spese nazionali. In cambio di ciò, chi utilizzerà tali fondi si impegnerà a riformare il proprio mercato del lavoro o a togliere eventuali blocchi alla concorrenza che fossero ancora in funzione nel Paese. L’effetto collettivo per l’Europa sarebbe però di preservare il proprio capitale umano, sostenere la domanda di consumo, tutelare la capacità collettiva di incrementare la produttività dell’eurozona.
La proposta è stata presentata e sarà oggetto di confronto nei prossimi vertici europei. Guardiamo con attenzione al percorso che seguirà e chi appoggerà o respingerà tale iniziativa.
Un’Europa che non dovesse riuscire ad avviare anche nella politica del lavoro una propria unitaria politica sociale non riuscirà certo a rispondere alla domanda di significato che proviene dalle sfide che i lavoratori affrontano quotidianamente e che chiedono all’Europa di affrontare con decisione e capacità unitaria.