“Le chiacchiere ormai stanno a zero. O si fa o non si fa”. Lo ha detto l’ex ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, riferendosi alla proposta di Angelino Alfano di abolire l’articolo 18, cui Renzi aveva ribattuto che si trattava soltanto di un “totem ideologico”. Per il senatore Sacconi, “se poi non se ne fa nulla, il Governo non cade ma perde credibilità e pone le premesse per il suo esaurimento”. Ne abbiamo parlato con Giorgio Benvenuto, segretario generale della Uil tra il 1976 e il 1992, e in seguito parlamentare del centrosinistra.
Ritiene che il dibattito sull’articolo 18 aperto da Alfano e continuato da Sacconi abbia un senso?
Assolutamente no. È una modifica priva di senso, perché già il governo si sta muovendo con il Jobs Act. Anziché sopprimere l’articolo 18, semmai ci si dovrebbe porre il problema di completare lo Statuto dei Lavoratori facendo in modo di tutelare anche i precari. Le forme di flessibilità introdotte, invece di migliorare l’occupazione, l’hanno peggiorata in termini di qualità e quantità. Pensare di riformare i problemi del Paese con l’articolo 18 è come servire una minestra ribollita. Ci sono numerosi temi da affrontare, capisco che anche Alfano si debba distinguere, ma ha scelto un argomento privo di qualsiasi utilità pratica.
Renzi ha risposto proponendo di riscrivere l’intero Statuto dei Lavoratori. È d’accordo con lui?
Il problema dello Statuto è che non funziona e non tutela tutti i lavoratori, e quindi per modificarlo occorre superare l’enorme distinzione tra chi ha un posto di lavoro stabile e i precari. Se si vuole completare lo Statuto dei Lavoratori bisogna trovare il meccanismo per fronteggiare una tendenza alla precarietà e al lavoro sommerso che rende il Paese poco competitivo. Non solo è un’ingiustizia profonda nei confronti dei giovani, perché mortifica le loro professionalità, ma rappresenta anche un errore grave. Possiamo competere se abbiamo prodotti di qualità, ma se il lavoro è irregolare, precario o instabile, il prodotto di conseguenza non sarà in grado di essere competitivo.
Ci sono le condizioni politiche per modificare lo Statuto dei Lavoratori?
Bisogna intendersi: più che le condizioni politiche ci devono essere i contenuti. Quando si parla di riscrivere lo Statuto dei Lavoratori, per eccesso di consenso sui temi generali poi si rischia di finire per non fare nulla. Ci sono problemi complessi che non possono essere risolti senza un approfondimento e un confronto con le forze economiche e sociali, coinvolgendo sindacati e imprenditori. Occorre un’idea di merito, che in questo momento non vedo, e un metodo che consenta di attuare un aggiornamento dello Statuto dei Lavoratori.
Renzi ha detto no alla concertazione. Può riscrivere lo Statuto senza ritrovarsi i sindacati contro?
Quando è stata fatta in modo serio, la concertazione ha prodotto risultati, come ha documentato in passato la vicenda della scala mobile e l’accordo raggiunto ai tempi del governo Ciampi. La concertazione non può essere indubbiamente perdita di tempo, e quindi va fatto di tutto affinché il confronto con le forze sociali ci sia. Queste ultime devono mettere in atto un confronto costruttivo. Se si vuole mettere mano a una modernizzazione dei rapporti tra le forze sociali e il governo, ciò non può avvenire solo con la buona volontà del Presidente del consiglio, bensì con la ricerca di un consenso anche con i sindacati.
(Pietro Vernizzi)