Sono ore d’angoscia per i lavoratori del pubblico impiego. Temono che la spending review, in attesa di approvazione definitiva, sarà avviata secondo una logica tutt’altro che razionale, caratteristica che le dovrebbe essere connaturata; e che, invece, avrà i connotati di una mera falcidia indiscriminata, finalizzata a reperire risorse nella maniera più veloce possibile, senza preoccuparsi dei danni che potrebbe procurare. Michele Gentile, coordinatore nazionale del dipartimento della Funzione pubblica della Cgil, spiega a ilSussidiario.net chi e come potrebbe farne le spese. A partire da una premessa di fondo: «La spending review ci era stata presentata come il superamento e l’archiviazione dei tagli lineari di Tremonti all’insegna della qualità e della riqualificazione della spesa. Ci troviamo di fronte, invece, a dei tagli disegnati esattamente sul modello di quelli effettuati dall’ex ministro, attraverso i quali vengono ridotte nella medesima maniera tutte le voci mentre, successivamente, si lascia a ogni ministero il compito di doversi arrangiare. Non si tratta, quindi, di una riqualificazione, ma di una mera riduzione». Entrando nello specifico, «l’intervento che preoccupa di più in assoluto è quello relativo ai prepensionamenti. Tutti i dipendenti sopra i 60 anni, senza distinzione, sarebbero collocati in una sorta di cassa integrazione». Il che provocherebbe un disastro sociale. «Su circa 3milioni e 200mila lavoratori del pubblico impiego, gli over 60 sono circa 240mila. E prenderebbero l’80% della paga base, corrispondente a circa il 60% dello stipendio netto. In molti, quindi, potrebbero ricevere un assegno di circa 800 euro al mese».
Tra gli effetti più perversi dell’operazione, ci sarebbe l’ingrossamento delle fila degli esodati. Che, dagli attuali 390.200, si incrementerebbero, potenzialmente, di 240mila unità. Ecco perché: «Secondo le norme introdotte dal governo Berlusconi, la cassa integrazione non può durare più di due anni. Vuol dire che, al termine di questo periodo, i dipendenti pubblici sarebbero licenziati. E, mancando loro diversi anni per giungere ai 66 anni di età minima pensionabile, anche loro si troverebbero nella condizioni di non aver reddito da lavoro, né l’accesso al regime previdenziale. Edodati, appunto». Si determinerebbe un ulteriore effetto distorto e bizzarro: «Ci cono uffici in cui hanno tutti più di 60 anni. Come si procederà in quei casi? Li chiuderanno?». Il prepensionamento non è l’unica ipotesi che spaventa i dipendenti del pubblico impiego. «Si parla della cancellazione, per il 2012, delle tredicesime, del taglio drastico dei buoni pasto, del blocco del turn over e del salario accessorio, ovvero del pagamento delle prestazione aggiuntive come gli straordinari, i turni notturni o festivi, la reperibilità e la produttività».
Il sindacato, sul da farsi, ha le idee ben precise. «Abbiamo chiesto, anzitutto, un incontro urgente con il ministro per capire di cosa stiamo esattamente discutendo. Se si parla di spending review, allora, avanzeremo le nostre proposte. Se si parla, semplicemente, di tagli, non ci resta alternativa alla mobilitazione». Nel primo caso, la Cgil ha indicato una serie di misure: «E’ possibile ridurre il 1miliardo e 300 milioni di euro di consulenze, limitare le chiamate esterne dei dirigenti, riorganizzare gli apparati puntando sulle centrali uniche di acquisto per beni e servizio evitando che ciascuna amministrazione decida cosa fare».
La circolare del ministro della Funzione pubblica, Filippo Patroni Griffi, in cui ha imposto vietato ai dipendenti del dicastero da lui presieduto di effettuare telefonate ai cellulari o interurbane senza il permesso dei propri dirigenti, non sembra andare nella direzione auspicata: «Mi lascia perplesso il fatto che abbia deciso di intraprendere una strada estremamente complicata e poco praticabile invece che, effettivamente, mettere in campo tutte quelle iniziative attraverso cui ogni cittadino riesce ad abbassare i prezzi delle proprie utenze quali, ad esempio, l’utilizzo di Skype. Ma questo, probabilmente, non avrebbe sortito il medesimo impatto mediatico».
(Paolo Nessi)