Entro il 2015, il governo prevede che i dipendenti pubblici saranno scesi dagli attuali tre milioni e 250mila a tre milioni. Per il momento, attraverso il decreto relativo alla spending review, ne saranno esuberati immediatamente 24mila. Il numero compare nella relazione che accompagna la revisione delle spesa pubblica e, dopo settimane di indeterminatezza, chiarisce l’entità della riduzione del 20% dei dirigenti e del 10% dei lavoratori del pubblico impiego. Circa 11mila esuberi riguardano i ministeri e gli enti pubblici non economici, mentre 13mila gli enti territoriali. Benedetto Attini, responsabile del settore Pubblico impiego-Statali della Uil, spiega a ilSussidiario.net perché, salvo una marcia indietro del governo, i sindacati non potranno fare altro che indire scioperi e manifestazioni. «L’hanno definita spending review, ma non ha niente di diverso dai classici tagli lineari. Che, essendo tali, produrranno come unico beneficio un risparmio di risorse. Questo, tuttavia, non migliorerà l’efficienza della Pubblica amministrazione». Per fare un’operazione efficace in tal senso, si sarebbe dovuto procedere in tutt’altra maniera: «Sarebbe stato necessario esaminare approfonditamente la situazione di ogni singolo ministero, ente pubblico o agenzia fiscale, verificandone le eventuali eccedenze, istituire la mobilità volontaria all’interno di questi comparti e, successivamente, sedersi con le parti sociali per fare il punto e decidere come intervenire». In alternativa, si sarebbe potuto evitare del tutto di incidere sulla vita delle persone: «La spesa del personale pubblico non è improduttiva. Anzi, tagliarla rischia di compromettere i servizi alla cittadinanza. Altrove, invece, si sarebbe potuto tagliare in maniera indolore». Ecco qualche esempio: «Tra i Comuni, le Provincie e le Regioni esistono migliaia di enti sui quali si sarebbe potuto operare senza che nessuno si accorgesse di nulla. Mi riferisco alle comunità montane, ai parchi, alle migliaia di aziende municipalizzate e alle relative migliaia di presidenti, direttori generale e consigli d’amministrazione. Razionalizzare questo tipo di spesa avrebbe comportato un forte risparmio e penalizzato esclusivamente coloro che ricoprono, all’interno di questi organismi, cariche che, di fatto, sono politiche e non corrispondono a un vero e proprio lavoro di cui hanno bisogno per vivere».
In ogni caso, solamente 6mila lavoratori, tra quelli che saranno esuberati, potranno accedere al trattamento previdenziale secondo le regole precedenti alla riforma della Fornero. C’è da capire cosa ne sarà di tutti gli altri. «Temiamo che possano diventare esodati. Le attuali norme, infatti, prevedono 24 mesi di mobilità all’80% della paga base (quindi, circa metà dello stipendio effettivo). Molti di questi, esaurito tale periodo, non avranno ancora raggiunto l’età pensionabile e si ritroveranno, di conseguenza, senza reddito da lavoro e da pensione. Mi auguro che il governo ci convochi per trovare la soluzione meno dolorosa». Strano che l’esecutivo di tecnici e professori non abbia valutato il problema che si sarebbe determinato.
«Credo – affemra Attini – che lo abbia fatto. Ma che abbia deciso di andare avanti lo stesso. Evidentemente, al riflesso sociale che si sarebbe determinato nel Paese, è stato anteposto il risparmio di spesa e il segnale da lanciare ai mercati». Eppure, lo spread viaggia ancora attorno ai 470 punti base. Difficile che, come ha accusato Monti, l’andamento possa dipendere esclusivamente dalla critiche del presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, al provvedimento del governo, definito di macelleria sociale. «Se Squinzi avesse il potere di manipolare lo spread solo attraverso qualche affermazione, dovrebbe essere considerato una sorta di piccola divinità all’interno del mondo finanziario. Credo, quindi, che si tratti di un semplice alibi per giustificare il fatto che i mercati non hanno reagito positivamente alle misure adottate, come invece il governo si aspettava».
(Paolo Nessi)