«La vera priorità in tema di pensioni è Quota 41, cioè la norma che consente di andare in pensione con 41 anni di contributi senza limiti di età. In questo modo si darebbero risposte ai lavoratori precoci che hanno trovato un’occupazione quando erano molto giovani». Lo afferma Walter Rizzetto, vicepresidente della commissione Lavoro a Montecitorio e deputato di Fratelli d’Italia-Alleanza nazionale dopo avere fatto parte in precedenza di M5s e Alternativa libera. Per il 2 aprile i sindacati confederali hanno organizzato una mobilitazione nazionale in tutti i capoluoghi di provincia, per chiedere risposte del governo su temi come flessibilità in uscita, esodati e Quota 96.
Condivide la scelta dei sindacati di mobilitarsi per la flessibilità in uscita? Non mi sembra di ricordare scioperi dei sindacati quando fu votata la Legge Fornero. Dopo di che se i sindacati vogliono scendere in piazza per sostenere il ddl Damiano, io valuterò se manifestare con loro o meno. Anche se è sotto gli occhi di tutti che il disegno del governo Renzi è quello di non avere un ampio dialogo con i sindacati.
Lei ha proposto di estendere Opzione Donna agli uomini. Può essere la strada per la flessibilità? Può essere una delle soluzioni. È chiaro che le donne hanno avuto negli anni qualche impegno in più rispetto agli uomini, perché hanno avuto delle gravidanze, hanno accudito i figli, si sono occupate delle persone che probabilmente stavano poco bene. Ricordo però che ci possono essere anche degli uomini nelle stesse condizioni. Per esempio i maschi non sposati possono avere compiuto più o meno lo stesso percorso.
In che modo si concretizza la sua proposta? Io propongo la soluzione di un’uscita volontaria a 57/58 anni dal mercato del mondo del lavoro anche per quanto riguarda gli uomini. Se vogliamo parlare di parità di diritti, Opzione Donna deve essere una possibilità aperta anche agli uomini. Anche se è sicuramente una possibilità che costa. Non a caso l’Inps ha quantificato in circa 2,5 miliardi la spesa per 36mila donne che potrebbero ritirarsi dal lavoro con questo tipo di strumento.
Quando si parla di pensioni, lei ritiene che esista una questione di parità di diritti anche tra vecchie e giovani generazioni? Le buste arancioni forniranno una sorta di istantanea rispetto alle pensioni che andremo a prendere. Questo è un primo inizio per avere dei dati e capire che cosa succederà. È del tutto evidente però che sino a qualche anno fa noi parlavamo soltanto di sistema retributivo, si creavano le pensioni d’oro e con la legge Mosca si è garantita la possibilità di ricevere una pensione a chi non ha mai versato contributi. Ricordo tra l’altro che il Pd non vuole neanche abrogare quest’ultima legge. Fatto sta che ci sono disparità tra vecchie e nuove generazioni che saranno drammatiche, e quindi sta alla politica cercare di capirle, avere dei dati e porvi rimedio. Non vorrei infatti che determinassero problemi più grandi della stessa legge Fornero.
Intanto il governo sembra voler rinviare qualsiasi soluzione in tema di flessibilità in uscita. Secondo lei perché?
Le proposte per realizzare la flessibilità in uscita ci sono, ma temo che non ne parleremo prima della prossima legge di stabilità. Addirittura nei prossimi anni non si parlerà più di uscita a 62 anni e qualche mese, come è nella proposta Damiano, proprio per l’incremento dell’aspettativa di vita. Personalmente il riferimento all’aspettativa di vita è un parametro che eliminerei immediatamente.
Boeri ha proposto un anticipo di tre anni con una penalizzazione del 3% annuo. È una buona idea?
Prima ancora della flessibilità, la proposta che io porterei avanti è Quota 41 per i lavoratori precoci. In questo modo potremmo mandare in pensione parecchie persone che hanno iniziato a lavorare in giovane età. Detto questo valuteremo anche la proposta del presidente Boeri, chiedendo agli stessi pensionati e parti sociali quale penalizzazione ritengono che sia sostenibile.
Lei a quanto la fisserebbe?
Può essere il 2% o il 4%, ma io ritengo che quando restiamo nella soglia di qualche punto percentuale sotto il 5-6% è qualcosa di sostenibile per chi va in pensione. È altrettanto chiaro che non prendo nemmeno in considerazione cifre o percentuali più alte.
(Pietro Vernizzi)