Torna all’ordine del giorno del dibattito politico il tema del lavoro, e giustamente appare prioritario, per questo Governo, affrontare il tema dell’occupazione e della desertificazione industriale che colpisce il nostro Paese da ormai diversi anni. Stranamente, tuttavia, il vento di novità che si prefigge di introdurre il Governo nella politica italiana ha il sapore del vecchio dibattito (trito e ritrito) sull’articolo 18.
Parliamo di questa norma e non del contratto a tutele crescenti, in quanto su questa nuova tipologia contrattuale, oltre agli annunci e slogan, non esiste nessun documento ufficiale che ne illustri contenuti, forme e modalità applicative. Personalmente (e una buona fetta del sindacato) non è contraria a priori a una “sospensione” degli effetti dell’articolo 18 sui nuovi contratti, per una ragione semplicissima: oggi l’articolo 18 non esiste più nel 90% reale dei rapporti di lavoro. Come ben sappiamo, il tessuto aziendale dei luoghi di lavoro è costituito per la maggioranza da piccole e medie imprese, le quali, avendo meno di 16 dipendenti, non vedono applicati gli effetti dell’articolo 18.
Ma sussiste una seconda questione: se analizziamo i dati delle comunicazioni obbligatorie sugli avviamenti al lavoro, la stragrande maggioranza è costituita da tipologie contrattuali temporanee, dove non si corre nemmeno il rischio di dover licenziare, perché il rapporto termina con la scadenza naturale del contratto. Avendo inoltre ampliato le proroghe dei contratti a tempo determinato da 1 a 5 (il recente decreto Poletti) e avendo eliminato le causali, un datore di lavoro può in tutta tranquillità assumere anche per periodi brevi un lavoratore, prolungargli di volta in volta il contratto e poi lasciarlo tranquillamente a casa!
Abolire l’articolo 18 non risolverà il problema della competitività industriale delle imprese, anche perché in Italia alla tanto paventata impossibilità di licenziare un lavoratore, vi è l’estrema facilità a licenziarne dai 5 in su tramite la procedura collettiva (almeno nelle medie e grandi aziende).
Proviamo infine ad analizzare quella fetta residuale ed estremamente minoritaria dei rapporti di lavoro che oggi si interrompono con un licenziamento illegittimo individuale. Cosa avviene? Il lavoratore viene licenziato e riceve una indennità risarcitoria, proprio quello che sembra prevedere il Jobs Act, nonostante il fatto che oggi l’articolo 18 sia ancora in vigore. Con una differenza però: oggi il risarcimento viene contrattato e domani sarà imposto dalla legge. Noi siamo sempre a favore della contrattazione, rispetto alla legislazione, perché il primo strumento, nella logica sussidiaria, affida ai protagonisti, alla luce del caso specifico, la responsabilità di dirimere la controversia e trovare una soluzione adeguata e pertinente. Quindi, a mio modesto parere, il provvedimento denominato Jobs Act e le relative modifiche a oggi annunciate non portano un drastico cambiamento per i lavoratori, ma nemmeno per le imprese e per l’occupazione.
Inoltre, l’ennesima modifica al nostro impianto normativo non farebbe altro che generare maggiore incertezza per le imprese e per i datori di lavoro. Il contratto a tutele crescenti sarebbe una vera novità se fosse soggetto a un’imposizione fiscale realmente di vantaggio, perché il problema in Italia è l’elevato costo del lavoro (non perché le retribuzioni sono alte) e se comportasse l’eliminazione o perlomeno il contingentamento delle forme contrattuali spurie (associazioni in partecipazione, co.co.pro. e le false partite Iva).
In tutti i paesi europei dove la flessibilità in uscita è più alta esistono efficaci ed efficienti servizi al lavoro che accompagnano i disoccupati nella ricerca di un nuovo impiego… Ma in un Paese che non ha una visione di sistema e non ha idea che per ripartire occorre una politica industriale ed energetica seria, una riforma della giustizia e del fisco radicale, parlare di articolo 18 è l’ennesima distrazione.
Se il buongiorno si vede dal mattino, per la riforma del lavoro qui è veramente notte fonda. #iproblemidellitaliasonoaltri.