“Studiare in azienda, lavorare a scuola”. Non è stato uno slogan, ma un “filo conduttore” quello che Valentina Aprea ha dipanato dal 2012 a oggi, come assessore ad Istruzione, Formazione e Lavoro della Regione Lombardia. Un segmento, quest’ultimo, di una traiettoria lunga e lineare innestata dapprima nell’attività professionale come docente e dirigente scolastica, proseguita nell’impegno politico come deputata dal 1994 e inizialmente culminata nella chiamata a sottosegretario al Miur. Qui Aprea è stata protagonista della nascita pionieristica delle legge 53/2003 che ha introdotto l’alternanza scuola-lavoro e parificato la dignità dell’istruzione con quella della formazione professionale.
La realizzazione di quella strategia riformista è stata l’obiettivo degli ultimi sei anni, di intensa responsabilità politico-amministrativo nella regione-frontiera dell’Azienda-Paese. Con questi risultati, Aprea si ripresenta ora ai suoi elettori, candidandosi per un ritorno alla Camera dei deputati per Forza Italia, nel collegio uninominale di Gorgonzola (Lombardia 1). Il bilancio di fine legislatura dell’assessorato parla di 4,192 miliardi mossi da un sistema integrato: 1,103 alla voce Istruzione (nella quale spiccano il progetto Dote Scuola, il piano Generazione Web e la lotta al cyberbullismo); 1,234 miliardi alla voce “Formazione” (soprattutto per lo sviluppo del sistema duale e per l’identificazione delle filiere professionalizzanti), e 1,764 miliardi per il “Lavoro” (fra Dote Unica Lavoro, Garanzia Giovani e Ponte Generazionale).
Quali obiettivi raggiunti sottolinea ai suoi cinque anni in assessorato?
La sfida più impegnativa è stata certamente quella posta dalla più grande crisi occupazionale dal dopoguerra ad oggi. Vi abbiamo risposto costruendo un sistema di politiche attive che hanno sostenuto i disoccupati nel trovare un nuovo impiego, attraverso lo strumento di Dote Unica Lavoro. Su 150mila lavoratori presi in carico dalla Regione Lombardia, 138mila hanno trovato un ricollocamento grazie a uno sforzo di 205 milioni E il nostro modello è giudicato di punta a livello Ue.
E l’emergenza giovani?
Oggi i giovani lombardi possono contare su un sistema duale di integrazione fra formazione e lavoro in apprendistato per facilitare l’accesso al mercato del lavoro. E questo è il frutto di un pressing continuo su scuole e imprese, atenei e centri di ricerca per avviare alleanze win win. Con il Programma Garanzia Giovani ho ulteriormente rafforzato le misure per l’occupabilità, con interventi specifici per i NEET (giovani che né studiano né lavorano) e per gli studenti in uscita dai percorsi formativi. La Lombardia è riuscita a mobilitare 173 milioni di fondi comunitari: ne hanno beneficiato 93mila giovani under 30.
Il pacchetto Industria 4.0 sta convergendo verso strategie di formazione volte a supportare la digitalizzazione della manifattura.
E’ vero, l’innovazione è la chiave della ripresa e dello sviluppo. Il nostro progetto ad hoc per la formazione tecnologica degli insegnanti è solo il più recente su questo terreno. Più in generale la rivoluzione digitale – la quarta grande svolta nella storia dell’industria – impone un pari sforzo di modernizzazione degli ambienti di apprendimento, diffusione di metodologie didattiche innovative, promozione di strategie di apprendimento per lo sviluppo del pensiero scientifico, computazionale e creativo. Fondamentale l’orientamento allo STEM (Scienze, Tecnologie, Ingegneria, Matematica) e soprattutto il potenziamento di un efficace sistema duale per una “scuola dei mestieri” fondata sull’alternanza scuola-lavoro e sull’apprendistato formativo. Nell’ultimo quinquennio sono state oltre 4.000 le posizione aperte in Lombardia per apprendisti di primo e terzo livello. E’ prioritario, in questa prospettiva, valorizzare anche la positiva esperienza degli Istituti Tecnici Superiori da trasformare in Smart Academy.
Il suo bilancio contiene già le linee programmatiche di un suo nuovo mandato parlamentare: quali le stanno più a cuore?
Sono da sempre sostenitrice convinta del principio dell’autonomia delle scuole nella definizione degli organici, nella selezione degli insegnanti e nella determinazione dell’offerta formativa. E se l’apprendistato formativo resta lo strumento bussola di un irrobustimento complessivo dell’interfaccia scuola-lavoro, è indispensabile insistere sulla formazione continua per mantenere la competitività del lavoro. Non da ultimo: agevoliamo il rientro dei lavoratori italiani fra i 25 e i 45 anni che abbiano acquisito all’estero competenze qualificanti, anzitutto tecnico-scientifiche.
Il rilancio della produttività del lavoro richiede una riduzione del suo costo?
Sono certa che la decontribuzione totale per i primi tre anni sulle nuove assunzioni in apprendistato possa favorire in modo decisivo l’inserimento dei giovani nel mercato del lavoro. E con più giovani in azienda sarà possibile accelerare anche trasformazioni nell’organizzazione del lavoro ed evoluzione nella struttura delle retribuzioni.
Come?
Penso che vadano esplorate tutte le opportunità di integrazione dei redditi dei lavoratori attraverso forme innovative di welfare aziendale come leve per una nuova conciliazione tra la competitività delle imprese e il benessere delle persone. Questo anche attraverso modalità flessibili di organizzazione del lavoro: smartworking e coworking in testa. Senza dimenticare quei giovani, sempre di più, che vogliono cimentarsi con l’imprenditoria: dobbiamo incentivare investimenti mirati, da parte di “mecenati su “talenti”.