Il giudice dei licenziamenti rallenta la giustizia. Doppiamente. Ma senza colpa. In primo luogo, perché il nuovo rito introdotto dalla riforma Fornero (la legge 92/2012) aggiunge un grado di giudizio che sarà connotato da fasi istruttorie interminabili per effetto delle molte fattispecie che il giudice dovrà accertare nel definire la tipologia di licenziamento. In secondo, perché, con l’introduzione delle giornate dedicate ai licenziamenti ex articolo 18, i tribunali si troveranno ulteriormente ingolfati. E i fori di tutta Italia, già in ritardo cronico nello smaltire le cause, non potranno nemmeno disporre di risorse aggiuntive, perché la riforma doveva essere “a costo zero”. E così è stato. Per capire come cambia il rito speciale per impugnare i licenziamenti ilsussidiario.net ha interpellato Maurizio Del Conte, docente di diritto del lavoro all’Università Bocconi di Milano.
Con la riforma del lavoro è stata introdotta una “corsia preferenziale” per i licenziamenti ex articolo 18. Ci spiega che cosa cambia?
La cosiddetta “corsia privilegiata” è di fatto ritagliata nella corsia già esistente nell’ordinario rito e processo del lavoro. Ed è destinata soltanto alle domande specificamente inerenti al licenziamento. Quello che cambia è anzitutto il fatto che è stato definito il passaggio da tre fasi di giudizio a quattro. Perché la riforma aggrava il rito per impugnare i licenziamenti con un ulteriore grado di giudizio di merito.
Come mai?
La speranza del legislatore è quella che la controversia si possa chiudere nella prima fase, quella del ricorso sommario. Anche se mi pare improbabile, perché di fronte a un’ordinanza di primo grado è verosimile pensare che le parti concorrenti non si accontenteranno, ricorrendo alla prima ordinanza del giudice. Vede, di fatto avremo quattro gradi di giudizio: tre di merito (ricorso sommario, opposizione in tribunale e appello contro la sentenza di primo grado, ndr) e uno di Cassazione.
Perché dice così?
È l’esperienza a dirlo. Normalmente nelle cause dove il giudizio è più articolato (come può essere, per esempio, nel caso della repressione della condotta antisindacale, tutelata dall’art. 28 dello Statuto dei lavoratori) la parte soccombente di fatto fa opposizione quasi sempre. E occorre almeno un doppio grado di giudizio per arrivare alla prima definizione della controversia. Poi ci sono un ulteriore reclamo e il giudizio di Cassazione. Ma in Cassazione arriva solo una parte limitata di casi. Anche se è difficile che le parti non vogliano esperire i gradi precedenti.
Come funziona la “corsia privilegiata”?
Se, per esempio, un lavoratore fa causa al datore dicendo che ha subito un illegittimo licenziamento e che all’origine c’erano una serie di vicende legate al mobbing o al demansinonamento, fino a prima della riforma era possibile risolvere questa procedura in un unico procedimento. Ora è necessario intraprendere due procedimenti distinti. Perché davanti al giudice del licenziamento si possono proporre solo questioni connesse al licenziamento. Mentre ogni altra domanda dovrà essere proposta con un giudizio autonomo. Il che fa pensare a una moltiplicazione dei giudizi.
La riforma dunque non soltanto provocherà il rallentamento dello specifico giudizio sul licenziamento per effetto dell’introduzione dei quattro gradi di giudizio, ma obbligherà le parti a moltiplicare i processi, laddove vi siano domande che comportano diritti derivanti dal rapporto di lavoro non direttamente connesse al licenziamento?
Esatto. Nel caso di licenziamento in seguito a una condotta di mobbing, per esempio, davanti allo stesso giudice non sarà più possibile presentare domanda di risarcimento per mobbing, ma occorre presentare un altro ricorso davanti a un altro giudice. E lo stesso vale, in caso di demansionamento per vedersi riconosciuto il diritto ad essere correttamente inquadrato in caso di reintegro. Oppure ancora stessa situazione in caso di crediti non pagati per bonus, trasferte e altri diritti dei lavoratori.
Occorrerà sempre intraprendere due processi diversi. Pensi al caso di illegittimo licenziamento con ordine di reintegro e demansionamento: sarà necessario collegare le due sentenze. Il lavoratore non sarà soltanto riammesso. Occorrerà attendere il giudizio sul demansionamento, che procederà più lentamente di quello sul reinserimento.
Quante complicazioni…
Il fatto è che il giudice non si può più limitare a stabilire soltanto se il licenziamento è illegittimo o no; ma deve valutare anche di che tipo di illegittimità si tratta: se il licenziamento deriva dalla discriminazione, se è dovuto alla mancanza assoluta di un giustificato motivo soggettivo, ossia la colpa del lavoratore, se è dovuto a una mancanza che c’è stata, ma non è sufficiente a integrare il licenziamento per giustificato motivo soggettivo, oppure se il licenziamento avvenuto per ragioni economiche rivela un motivo palesemente insussistente o no. Insomma, siamo di fronte a una moltiplicazione delle fattispecie. E il lavoratore che impugna un licenziamento sarà spinto a svolgere una serie di domande principali e altre subordinate che non faranno altro che complicare e allungare la fase istruttoria. Ora bisognerà non più valutare un solo fatto (il licenziamento illegittimo) ma bisognerà stabilire quanto e come è illegittimo.
Non significa una maggiore precisione della giustizia?
Non mi pare che sia una conquista per la giustizia. Anzi è un ulteriore motivo di incertezza. Visto che un processo è volto a determinare una situazione certa, avere tutte queste variabili è un arretramento.
Come valuta l’introduzione delle giornate dedicate ai licenziamenti ex articolo 18?
Se si dedica un mercoledì o un giovedì ai licenziamenti, non è che poi si può farlo durante altri giorni o averne uno in più. Credo che sarà motivo di ulteriore lentezza e appesantimento per la giustizia.
(Matteo Rigamonti)