È quanto mai problematico, soprattutto in questo periodo, poter confinare all’interno di un perimetro tematico e tecnico un problema come quello della previdenza e più in generale, per le caratteristiche del sistema italiano, quello del welfare. Questo avviene perché la natura ”multiverso”, il peso all’interno dei programmi elettorali, nonché il profilo tanto ristretto quanto “allargato” della tematica, spostano con facilità il discorso verso derive politiche. Tant’è… non ci si può tuttavia esimere di considerare le condizioni più ampie per una migliore comprensione di quello che potrebbe delinearsi. E su questa linea dell’orizzonte, partendo da qui, mi permetterò di evidenziare un mio pensiero.
Tre fatti indicano l’humus corrente su due ratios posti globalmente sotto osservazione: spesa pensionistica/Pil e debito/Pil. E sono: a) l’intervento allarme dell’Ue sulla sostenibilità del sistema pensionistico nel lungo periodo, cui seguirà ad aprile l’Ageing Report 2018 sulla previsione della spesa sociale e la programmazione delle politiche di bilancio; b) l’anticipazione di guidelines di programma da parte di Salvini-Lega e Di Maio-Movimento 5 Stelle; 3) il Def con i valori tendenziali e senza nuovi obiettivi del governo ancora in carica. E qui permettetemi una “dimensione macro”, utile per capire poi taluni interventi di “cervelli fini” e di “politici navigati”.
Quasi tutti, tranne i mei figli, sanno che, ai livelli raggiunti, il debito pubblico in un Paese che non stampa moneta, che non ha cioè sovranità monetaria, è quello che gli anglosassoni chiamano un “burden”. Il “burden” è il fardello, come quello di Atlante, che pesa sulle spalle e sulla schiena. E l’Italia non è Atlante. Un fardello pesante rallenta i movimenti, impedisce l’agilità di manovre, appesantisce il passo. E in ultimo rappresenta l’obbligazione di chi ha ricevuto credito a onorare il proprio debito secondo quanto programmato, o secondo il percorso che chi lo porta su di sé fa, o meglio è costretto a fare.
Il caso dei mercati in cui si trattano titoli rappresentativi di questa obbligazione generale e collettiva è appunto il percorso cui si ricollega la citata costrizione: andare forzosamente in una direzione anziché in un’altra perché non si hanno margini di manovra che possono essere recuperati solo se si alleggerisce il fardello, tenendo altresì conto che esiste sempre la possibilità di un ulteriore appesantimento per cui il portatore può cadere rovinosamente a terra e/o schiantare. Ai volumi attuali, se la crescita del debito è maggiore di quella del Pil (da cui peraltro, fatto il saldo di bilancio, si traggono le risorse per onorare il cosiddetto servizio del debito), senza le opportune coperture, qualsiasi intervento espansivo o derivato dallo smantellamento delle riforme di stabilizzazione fatte nel welfare rende poco sostenibile l’intero sistema di welfare in generale e pensionistico in particolare nel lungo periodo.
Chiamatela algebra delle frazioni, chiamatela macroeconomia, chiamatela politica, tant’è funziona così. A voglia dire e imprecare contro i burocrati, i tecnocrati, i padroni del vapore, affamatori di popoli e plutocrazia dei poteri forti che sottraggono sovranità ai popoli. Tutto ha un senso e una ragione. Secondo come “cade” la luce, che pure in natura non “cade” – a secondo delle stagioni – sempre nello stesso modo. E come aveva senso reclamare prima del Juncker program (per me tuttora insufficiente come intervento strutturale, soprattutto se visto alla luce di un mutare dell’orientamento della Bce), non ha senso prepararsi ad affrontare il “regno dei cattivi del 3%” con il coltello tra i denti se il Paese non riesce a crescere.. aumentando il denominatore o a equilibrarsi rendendo compatibili con la realtà gli interventi evidenziati nei diversi programmi.
Mantenere l’equilibrio può significare il “permettersi cose” come la riduzione della povertà, l’aumento dell’inclusione, l’assistenza alle famiglie, conquistando soprattutto a fatica (ma da noi accanto alle persone altamente deboli ci sono i fortemente furbi) gli spazi che appetiti di una classe dirigente sostanzialmente corrotta (vogliamo parlare di Alitalia?) hanno assorbito in anticipo, malgrado l’alta percentuale di galantuomini e di intelligenze. Far crescere il Pil significa avere, oltre che un ciclo e una congiuntura favorevole, una politica economica e industriale adeguata a quello che si reclama essere un grande Paese. Grande sì… nei ritardi venticinquennali sui quali si era cominciato a mettere mano. Ci si sveglia e guarda! ci si ritrova in un Paese demograficamente debole e fratturato dal disagio sociale ed economico: un Paese che è “povero”, anche nei valori che devono sostenere uno sviluppo, più che una crescita. I valori di uno sviluppo spesso sono confliggenti con quelli di una crescita che può essere anche da rapina, come da rapina può essere la sua distribuzione.
Ora, che l’Italia sia ritenuta tale, cioè grande Paese, e con titolo partecipi alla ridefinizione dell’Ue con Francia e Germania, implica che il suo titolo non sia solo quello di Paese fondatore al Trattato di Roma, ma che porti avanti con decisione e abilità (che non mancano) le sue proposte. Proposte che non siano solo da rubinetto, portate su altro livello visto che su quello nazionale l’acqua manca. Ne hanno da dire Patriarca e Boeri a sostenere domo propria i risultati raggiunti, ma un Paese che usa l’Istat per calcolare con il Cnel il coefficiente della felicità e ascoltare due menti fini dire che (con tanta accademia che potrebbe lavorarci) separare statisticamente previdenza da assistenza è un esercizio inutile e velleitario anche perché esiste l’Eurostat, ne ha da chiarirsi di idee. Strada che tocca a Salvini e Di Maio: possono liberare anticipatamente tutti i pensionati che desiderano, ma se non fissano requisiti coerenti e funzionali a far girare il sistema nel modo giusto, il burden peserà sempre di più.
Scommetto che Salvini illustrerà la circolarità virtuosa favorita dalla stampella Ue per favorire una crescita sostenuta dalla domanda di investimenti e di consumi che rilanci la crescita e di conseguenza aumenti l’introito fiscale (pagare meno pagare tutti) puntando a un saldo di bilancio favorevole ai ratios. Ma sulla previdenza registra un altro saltatore di carri. Boeri chiude una sua intervista ritirando fuori il suo rapporto sull’equità che permetterebbe a Di Maio di concretizzare qualche promessa elettorale o di avere merce di scambio per un improbabile quanto impossibile reddito di cittadinanza, in termini di crescita di debito
Sulla carta tutto funziona, anche se le previsioni di crescita dell’area europea fino al 2020 sono sì positive, ma a scendere. Di Maio ha una carta in più – in linea con l’analisi che dice che il 35% di quelli che votavano Pci nel 1987 ora votano 5 Stelle – e si chiama patrimoniale. Bene, tra i tanti florilegi comportamentali che vedremo tra i due e con il Pd, è immobile, come d’uso, il Presidente della Repubblica convitato di pietra di un passaggio difficile che ha nel passato i propri responsabili. Mattarella ha il compito più difficile dell’intero quadro e, proprio per il senso di responsabilità che cita, potrebbe risolverlo chiamando le “forze di buona volontà” a un governo (di fatto del presidente, indipendentemente se tecnico o di minoranza). In tale governo il programma dovrebbe richiedere che siano resi aggiustabili e compatibili apporti diversi, quando non contrastanti.
Chi si ricorda com’era il limbo, il ballo sudamericano? E chi si ricorda cos’era il limbo evangelico? Penso che queste due situazioni esprimano bene cosa ci si potrebbe attendere nei prossimi giorni. E vedremo se ha ragione Ray Dalio.