Tempo di crisi, tempo di tagli. Che rischiano di penalizzare non soltanto gli ambiti del welfare più visibili, frequentemente richiamati in queste settimane, ma anche quei settori tradizionalmente meno supportati: come la conciliazione tra famiglia e lavoro, che della spesa pubblica ha sempre beneficiato meno di altri. Tagliare sulla conciliazione è difficile, perché c’è ben poco da tagliare: lo scorso 11 luglio, in un convegno organizzato da Confcooperative per presentare il progetto “Famiglia, impresa, lavoro”, il messaggio centrale ha riguardato proprio la necessità di cominciare, al contrario, a investire.
E non solo economicamente. Non necessariamente si parla di gravare sulla spesa pubblica, ma di porre in essere un complesso di misure che insistano in maniera preponderante sul cambiamento culturale. Un cambiamento ormai non più rimandabile, se è vero che – come ha spiegato Daniela Vuri, presentando un’indagine dell’università di Tor Vergata – alla crescita dell’occupazione generale negli ultimi 10 anni non ha fatto riscontro un’analoga crescita dell’occupazione femminile, e la realtà delle lavoratrici madri costrette alle dimissioni o scoraggiate dal rientrare (solo 4 su 10 tornano al lavoro dopo la gravidanza) è lungi dall’essere superata.
Il progetto Fil è partito da una ricerca su una base di cooperative attive in 14 regioni italiane, realizzata attraverso focus groups, per individuare anzitutto i bisogni percepiti, e comporre così un “Paniere nazionale della conciliazione”. Tra questi bisogni, accanto a quelli che richiedono l’accesso a finanziamenti specifici, esiste una parte importante di esigenze soddisfabili per via legislativa e/o attraverso un’opera di sensibilizzazione culturale: come la revisione dei congedi di maternità/paternità e la promozione di politiche aziendali di genere, che prevedano la diffusione del part time, della flessibilità oraria, degli scambi di figure professionali. L’erogazione di voucher e l’attivazione di servizi di assistenza, pure richiamate tra i temi principali, non sono tutto: agli interventi sul denaro possono e devono affiancarsi quelli sul tempo.
Non solo calcoli, conti, numeri, ma riorganizzazione, educazione, coesione. Per individuare strumenti concreti di politiche “family friendly”, il progetto ha previsto una serie di studi di caso (29 in tutto), con un’analisi focalizzata su alcune situazioni rappresentative del rapporto impresa famiglia e lavoro. Di questi strumenti fa parte integrante una procedura per la determinazione dei costi, ma affiancata dalla creazione di un “termometro” per la conciliazione, e dalla progettazione di un quadro aziendale integrato.
Iniziative che rimandano agli aspetti più “soft”, come l’organizzazione aziendale e l’educazione alla diversity. Una prospettiva facile da dimenticare in un contesto in cui tutto sembra diventare quantificabile, e il famigerato spread sembra essere la misura unica del presente. Ma forse è proprio adesso che si può ricominciare a pensare diversamente, ricordando – come ha dichiarato al convengo don Vincenzi, della fondazione Toniolo – che “sono il lavoro e l’economia a dover sostenere la famiglia, e non viceversa”.