“Nessuna riforma annunciata e poi rinviata: il governo ha ribadito che si sta lavorando sulla flessibilità in uscita. L’impianto della Fornero deve rimanere tale, perché è quello che ci ha garantito la stabilità dei conti e che ci ha impedito di essere assimilati alla Grecia. Ma la flessibilità va garantita”. È la posizione di Maria Spilabotte, vicepresidente della commissione Lavoro del Senato ed esponente del Partito Democratico. Giovedì il governo ha firmato il decreto applicativo per consentire il part-time ai lavoratori prossimi alla pensione. Manca però una data sull’approvazione della flessibilità in uscita, che pure in passato è stata annunciata più volte.
Perché il governo, dopo avere annunciato la riforma delle pensioni, continua a rimandarla? Quello di Renzi è il primo governo che ha parlato di revisione della legge Fornero riferendosi al tema della flessibilità in uscita. È la posizione opposta a quella tenuta dai governi precedenti, compreso quello di Enrico Letta. L’ex ministro Enrico Giovannini ha sempre detto che la legge Fornero non si toccava. Questa dunque è la prima volta che un governo dice che la riforma andrà rivista.
Quando intendete farlo? L’intervento non è mai stato dato per imminente, ma è stato sempre detto che è al vaglio delle valutazioni del governo per la legge di stabilità che voteremo nel dicembre 2016. La ragione è ovvia: per garantire la flessibilità in uscita occorre trovare delle cospicue coperture. Il governo inoltre si è già assunto la responsabilità di lavorare alla flessibilità in uscita con la legge di stabilità votata il dicembre scorso. Quindi nessuna riforma annunciata e poi rinviata, in quanto il governo ha ribadito che ci si sta lavorando. L’impianto della Fornero deve rimanere tale, perché è quello che ci ha garantito la stabilità dei conti e che ci ha impedito di essere assimilati alla Grecia. Ma la flessibilità va garantita.
In concreto lei come ritiene che vada attuata la flessibilità pensionistica? Al vaglio del governo ci sono la proposta del sottosegretario Pier Paolo Baretta e quella dell’ex ministro Cesare Damiano, che prevedono una penalizzazione che varia dal 2% all’8% a seconda del numero di anni di pensione anticipata. Una terza proposta è quota 100. Nessuna di queste tre proposte è auto-sostenibile. Affinché questo sistema sia sostenibile, le penalizzazioni dovrebbero partire da un minimo del 9%, ma questo sarebbe fortemente penalizzante ai fini del calcolo dell’assegno pensionistico.
Ci sono differenze di vedute tra le commissioni Lavoro di Camera e Senato?
No. La commissione alla Camera si è espressa all’unanimità perché i disegni di legge in questione erano stati presentati in quella sede. C’è stata quindi una presa di posizione di competenza. Ricordo però che al Senato è stato approvato un ordine del giorno a prima firma di Annamaria Parente (Pd), attraverso cui si è chiesto al governo di impegnarsi a risolvere il problema della flessibilità in uscita. Come vede siamo tutti d’accordo. Poi quando le proposte arriveranno nella commissione Senato tutti potremo discutere nel merito.
Per l’Inps oltre 474mila persone in Italia sono in pensione da oltre 36 anni. Ritiene giusto un contributo di solidarietà sulle pensioni elevate a beneficio dei giovani?
In questa legislatura abbiamo ereditato un sistema previdenziale che è frutto di scelte scellerate compiute negli ultimi 20-30 anni, a partire dalle pensioni baby di cui ha parlato Boeri. Questo contributo di solidarietà è stato istituito nel 2014 dal governo Letta, ma la Corte costituzionale lo ha definito discriminatorio e anti-costituzionale. La soluzione è stata trovata dando a questa misura un carattere di temporaneità ed estendendolo fino al 2018. Nel 2018 sarà difficilissimo chiedere una deroga e una proroga di questo tipo di contributo, proprio perché cadrebbe il criterio della temporaneità ed entrerebbe in atto quello della discriminazione sollevato dalla Corte costituzionale.
(Pietro Vernizzi)