A dicembre 2016 il tasso di disoccupazione giovanile è tornato a salire al 40,1% e il problema dei giovani distanti dal mercato del lavoro è ancora senza soluzione. Basti pensare che anche nella Milano in fermento del dopo Expo non scende sotto il 20%. Partito nel 2014 da un’idea di Nicolò Boggian e Andrea Quattrocchi, come progetto pilota volto a offrire un percorso di mentoring a laureandi in discipline umanistiche, Incubatore di talenti (www.forumdellameritocrazia.it), ci consente di fare il punto oggi sui risultati in termine di employability dei circa 170 studenti coinvolti.
Il programma, offerto ogni anno e che comporta un abbinamento one to one con un manager e 7 incontri di gruppo in 7 mesi, è stato sviluppato con il supporto di Pino Truglia e del Forum della Meritocrazia. Da una survey condotta nel mese di marzo risulta che l’80% dei partecipanti lavora a 6 mesi dal termine del percorso di mentoring e la percentuale sale al 91% se vengono considerati i dati a 24 mesi. Questo dato (come si vede nel grafico più in basso) supera abbondantemente il risultato dei laureati in facoltà umanistiche e in generale dei giovani (+15 punti percentuali su dati Almalaurea e circa +45% su dati generali). Interessanti sono anche alcune delle aziende di “destinazione” degli studenti (le aziende elencate nella grafica a fine articolo non hanno partecipato al programma).
Quali sono le lezioni apprese? Da una parte ci sono le università, in lento miglioramento, ma che non riescono ancora a offrire agli studenti dei servizi di orientamento e placement in grado di fare emergere il loro talento. L’università continua a essere un momento formativo molto importante nella vita di una persona, ma non deve essere visto come separato dal mondo lavorativo. La sola laurea, infatti, non è più sufficiente per inserirsi con successo nel mercato del lavoro: per essere “job-ready” serve quel “quid pluris” che consente di fare la differenza.
Dall’altra parte ci sono le aziende private generalmente abbastanza opportunistiche, che continuano a basarsi su un modello di recruiting e talent acquisition formalistico, che non prende in considerazione a sufficienza le soft skills, l’etica, l’energia e la passione dei giovani. Significativa eccezione a questa regola fanno Bricoman e Manfrotto, che hanno sostenuto il programma e lavorano intensamente e con successo su questi temi. Infine, ci sono i giovani a cui mancano dei modelli manageriali solidi a cui far riferimento e sono spesso preda di un sovraccarico di informazioni, non sempre coerenti e funzionali al loro sviluppo professionale e alle quali sono sottoposti quotidianamente.
In un momento di profondo cambiamento delle figure professionali richieste sul mercato del lavoro, dove le famose “soft skills” o “life skills” vengono sempre più richieste, lo sviluppo di queste competenze trasversali dovrebbe essere inserito stabilmente nell’elenco delle capacità che devono essere acquisite durante il proprio percorso di studi. L’Incubatore di Talenti parte proprio da qui: valorizzare il talento e contribuire all’orientamento e all’acquisizione di una maggiore consapevolezza di sé affinché l’incontro con il mercato del lavoro abbia esito favorevole.
Ma qual è il segreto dietro questi risultati? Abbiamo identificato due principali “attivatori di talento” che aiutano i ragazzi ad ottenere risultati migliori.
1) I circa 70 mentor, che collaborano gratuitamente a titolo individuale al programma, mettono in campo la loro seniority per aiutare i rispettivi mentee a identificare il proprio personal brand, sviluppare le proprie competenze, acquisire un baricentro professionale e costruire una solida rete di contatti, perché i giovani che sviluppano una buona rete di contatti già durante gli studi universitari sono più facilmente employable e avranno quindi più probabilità di trovare lavoro e di crescere in modo soddisfacente poi.
2) Gli incontri di gruppo che trattano temi strategici nell’orientamento dei giovani e consentono di accumulare un knowledge spesso non a portata di mano.
“La mente che si apre a una nuova idea non torna mai alla dimensione precedente”, è questa la frase emblematica che descrive perfettamente il processo di trasformazione dei ragazzi a cui viene data la possibilità di accedere a un percorso di orientamento parallelo al classico percorso di studi. Naturalmente il programma, che ha avuto molte imitazioni negli anni a seguire, rappresenta un rimedio non strutturale al problema della transizione scuola lavoro, una vera” goccia in mezzo al mare”, ma i risultati soddisfacenti dovrebbero alimentare un dibattito serio sulle opportunità spesso non colte nel sistema di avviamento al lavoro.
Auspichiamo che il settore pubblico e privato sfrutti questa esperienza per aumentare l’investimento sui servizi all’impiego, approfittando di una generosa offerta privata ed esca da una pericolosa autoreferenzialità “burocratica” che non fa bene al sistema scolastico, alle aziende e naturalmente ai nostri giovani.