I numeri della disoccupazione, particolarmente di quella giovanile, continuano a essere drammatici, soprattutto nel Mezzogiorno. Per chi ha tra i 15 e i 24 anni, il livello è uno dei più elevati tra i ventotto paesi europei: ha superato quota 40% nel 2015 per poi scendere leggermente. Al Sud la disoccupazione giovanile è doppia rispetto alle regioni del Centro-Nord, così come elevato resta il numero dei Neet, dei giovani che non studiano e non lavorano: sono 1 milione e 800mila al Sud (più di metà del dato nazionale) e di questi sono ben 800mila quelli che non hanno neppure un titolo di studio.
Di fronte a questa evidenza non ci sono ovviamente soluzioni facili. Ci possono essere tuttavia soluzioni sbagliate come quelle di allargare ancora di più gli occupati nella Pubblica amministrazione o di garantire comunque un reddito se non si trova il lavoro vicino a casa.
La politica ha di fronte a sé il difficile compito di uscire da una serie di paradossi che negli ultimi anni hanno allungato le ombre sulla soluzione dei problemi. Per esempio, il fatto che l’Italia ha uno dei più bassi numeri di laureati tra i paesi europei, ma resta comunque notevole la difficoltà di trovare lavoro anche da parte di chi ha un elevato titolo di studio. Un altro esempio è dato dal fatto che l’Italia, insieme al Giappone, conta la speranza di vita più alta al mondo con una crescita che è stata particolarmente significativa negli ultimi decenni: eppure è duramente contestata la dinamica del sistema pensionistico che preveda il parallelo aumento dell’età pensionabile.
Ancora un esempio: l’Italia ha il tasso di crescita demografica tra i più bassi d’Europa e ormai la popolazione è destinata progressivamente a diminuire con un sempre maggior numero di anziani a fronte di una diminuzione dei giovani: eppure la richiesta di una maggiore rigidità nella politica migratoria è stata uno dei fattori di successo per il centrodestra alle ultime elezioni.
Ma per affrontare questi temi occorre una visione strategica, un coordinamento di iniziative, una valutazione reale degli effetti delle misure da prendere. Lo mette in rilievo, tra le altre analisi, il 22mo rapporto sull’economia globale e l’Italia realizzato dal Centro Einaudi con il partecipazione di Ubi banca (Un futuro da costruire bene a cura di Mario Deaglio, ed. Guerini e associati, pagg. 240, euro 21,50) .
“Nei prossimi anni – vi si legge – l’Italia dovrà avviare un profondo processo di ricambio delle forze di lavoro, in un quadro di squilibrio demografico potenzialmente pericoloso anche sul piano previdenziale. Diversamente da altre realtà con problemi analoghi, in particolare la Germania, che già ora stanno mettendo un atto cocktail di politiche (policy mixes) basate su gestione attiva dei flussi migratori, innesto di nuove tecnologie e politiche di inclusione nel mercato del lavoro delle coorti più giovani, l’Italia appare in ritardo sui primi due fronti e in larga parte inconsapevole riguardo al terzo. Constatare – afferma anche il rapporto – che quella giovanile non è solo una questione di correttezza politica, ma piuttosto un problema di viva razionalità economica, costituisce una condizione preliminare per affrontarla”.
La parola d’ordine dovrebbe essere quella delle politiche attive sui tre fronti: la demografia, l’immigrazione, il mercato del lavoro. Politiche attive che vuole dire anche saper guardare all’intreccio di queste tematiche. I giovani che non trovano lavoro, o che lo ottengono in forma precaria e mal pagata, ritardano la scelta del matrimonio e ancora di più quella di avere dei figli; questo impoverisce la società, riduce i consumi, crea elementi di scontento sociale che mettono sotto accusa tematiche come quella dell’immigrazione che potrebbe essere non un problema, ma parte della soluzione. È non solo lecito, ma doveroso che la politica dia risposte vere a questi problemi.