Ringhio Gattuso a muso duro con un anziano signore con tanto di occhiali e capelli bianchi. Milan-Tottenham ci ha offerto anche questo bruttissimo spettacolo. Ma non fatevi ingannare: quel vecchietto non è un tenero nonnino. Bensì uno squalo. Anzi, lo Squalo per antonomasia.
Joe Jordan, oggi 59enne, non è certo tipo da tirarsi indietro davanti a chicchessia. E anche ieri, mentre Gattuso gli ringhiava in faccia, lui stava lì a urlargli insulti da pochi centimetri. L’unica differenza rispetto a 30 anni fa, è che ha dovuto togliersi gli occhiali. Non sia mai che Ringhio potesse pensare che li tenesse su apposta per non farsi colpire.
Ma chi è Joseph Jordan da Carluke, paesino sconosciuto della Scozia? Oggi è l’assistente di Harry Redknapp sulla panchina del Tottenham. Prima era stato un calciatore scozzese (11 gol in Nazionale) di grande temperamento. Un attaccante in pieno stile britannico: gomiti alti, botte prese e date a volontà, foto di rito senza denti a fine partita (portò la dentiera dopo essersi spaccato l’arcata superiore in uno scontro con i difensori in Scozia). Tutto normale per lui.
Iniziò la sua carriera al piccolo Greenock Morton, in Scozia. Poi 8 anni al Leeds negli anni Settanta, quando a Ellan Road i trofei si vincevano giocando a calci più che a calcio (vinse un campionato e una coppa d’Inghilterra). Ma era il gioco di Joe Jordan, maschio e vero. Nel 1978 il passaggio al Manchester United, ma nei tre anni con i Red Devils le soddisfazioni furono poche.
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Poi arrivò il Milan. Nel 1981-82, l’anno della seconda retrocessione. Solo 2 gol in 22 partite, tante incomprensioni con Gigi Radice. Rimase pure l’anno dopo a San Siro, in serie B, dove si riscattò con 10 reti in 31 incontri, molte delle quali decisive in chiave promozione. La stagione successiva il passaggio al Verona, una piccola parentesi ingloriosa. Quindi il ritorno in Inghilterra con lo Southampton prima e il Bristol City poi.
E infine le scarpe appese al chiodo nel 1989 da giocatore-allenatore. La fine dello Squalo, l’inizio del manager Jordan. Ma quando serve, l’istinto da cacciatore è sempre lì. E, conoscendolo, forse non occorreva un Gattuso così esagitato per tirarlo fuori.