Più tardi oggi stesso al Meeting di Rimini parlerò a un incontro su presente e futuro della Lombardia. Non tocco qui il cuore delle considerazioni politiche che mi interessa svolgere, visto che la vicenda politica lombarda ha un significato e conseguenze essenziali per il futuro politico del paese intero, in vista delle prossime elezioni politiche del 2013. Del resto quel che pensi io in materia non è una novità, l’ho anticipato settimana per settimana. Mi interessa qui solo richiamare qualche cifra assoluta e comparata dell’economia pubblica lombarda, visto che la polemica politica in corso – non parlo di indagini giudiziarie – verte tutta su questo.
Stiamo parlando di una Regione che da sola vede concentrarsi abitanti la cui ricchezza delle famiglie, come somma di attività reali e finanziarie detratte le passività finanziarie, è superiore al Pil italiano, e con una ricchezza finanziaria netta pro capite che è in calo come in Italia ma resta superiore ai 160mila euro, del 16% superiore alla media italiana. Una Regione che ancora nel 2011 ha visto il proprio export crescere quasi dell’11% a quota 104 miliardi tra Ue e paesi extra Ue (la quota è ormai quasi bilanciata 50-50), e che resta con tassi di occupazione e concentrazione manifatturiera nell’alta tecnologia superiore alla media europea, ai primi posti dei cluster più avanzati continentali.
Andiamo invece ad esaminare alcune determinanti dell’economia pubblica regionale, con l’avviso che tutti i dati, come del resto i precedenti, sono elaborati da Bankitalia e facilmente riscontrabili nell’ultimo rapporto annuale sulla Lombardia – rilasciato il 20 giugno scorso – nella serie Economie Regionali delle pubblicazioni statistiche di via Nazionale. Scelgo apposta i dati Bankitalia per evitare le polemiche riservate ad esempio da Svimez alle elaborazioni – a mio giudizio utilissime – del mio amico Luca Ricolfi, contenute nelle sue pubblicazioni e da ultimo nel Sacco del Nord. Ci tornerò su nel mio intervento al Meeting, perché in realtà proprio le elaborazioni di Ricolfi attestano come sia più che mai aperta una questione lombarda e settentrionale, e come questo debba costituire – almeno a mio giudizio – il fulcro di una nuova proposta per la Lombardia e per il Nord.
Esattamente come resta aperta l’enorme ferita del Sud. E non credo proprio che il bilancio degli ultimi vent’anni politici ci autorizzi a credere che la soluzione a entrambe le questioni venga dalla continuità con le politiche, gli ordinamenti e le manovre di rientro di finanza pubblica dell’ultimo centrodestra come del governo Monti. Fermiamoci qui a un mero esame comparato di alcune grandezze. Senza volerne ancora trarre conclusioni per il futuro. Solo per capire di che cosa stiamo parlando. La spesa pubblica corrente primaria delle amministrazioni locali è stata pari in Lombardia nel 2011 a 2963 euro pro capite e quella per investimenti a 460: la somma dà 3423 euro pro capite rispetto a una media nazionale di 3492.
Il numero di addetti di Regione Lombardia e ASL per 10mila abitanti è però pari a 109 unità, che diventano 180 se sommiamo Province e Comuni lombardi, rispetto a 135 e 204 unità della media italiana. La spesa pubblica per investimenti fissi vede la quota di Regione Lombardia al 20,3% rispetto al 62,4% dei Comuni lombardi, mentre la media italiana vede le Regioni al 26,3% e i Comuni al 55%: in altre parole in Lombardia gli investimenti pubblici locali sono più sussidiari, cioè decisi e realizzati al livello più basso e vicino a cittadini e imprese utenti. E’ anche la Regione con il maggior ricorso a quote private d’investimenti pubblici in project financing cioè aprendo ai privati. Andiamo alla sanità, il cuore dello scontro in atto.
Ripeto: qui non parlo delle vicende giudiziarie e delle inchieste in corso, ma delle caratteristiche del sistema. E’ un sistema che sono i numeri, a definire come l’eccellenza italiana: ai vertici dei flussi migratori interni di domanda ospedaliera d’eccellenza, ma con un costo pari al 5,4% del Pil regionale. Per dare un’idea il Veneto, secondo nella graduatoria di efficienza-qualità, è già oltre il 6% di costo/Pil. Regione Lombardia è l’unica ad aver fatto una scelta “aperta” tra offerta pubblica e privata in piena e diretta concorrenza, come parti complementari integrate nel sistema pubblico accreditato.
La Lombardia è praticamente l’unica a riuscire a coprire i costi coi ricavi di settore (anche se l’avvertenza è che nel futuro immediato occorre però avere una ferma attenzione alla curva demografica: 11 anni di avanzi sanitari sono da questo punto di vista, e non per flussi di spesa fuori controllo, prossimi al termine).
La caratteristica della rete ospedaliera lombarda è ispirata a un frazionamento assai più contenuto della media italiana, il che aiuta a spiegare la maggiore efficienza per contenimento di costo: il numero di strutture di ricovero pubbliche e private accreditate per milione di abitante in Lombardia è pari a 13,8 rispetto a una media totale italiana di 19,5; la quota percentuale in ospedali con meno di 200 posti letto è in Lombardia del 17,5% rispetto a una media nazionale del 29,1%; la quota percentuali di Comuni con almeno una struttura ospedaliera in Lombardia è del 4,6% rispetto a una media nazionale del 7,8%; la quota di Comuni superiore ai 5mila abitanti con almeno una struttura ospedaliera è in Lombardia ferma al 12,7% rispetto a una media nazionale del 23,8%.
In sintesi: c’è molto da fare, e il denaro pubblico a miliardi comunque concentra interessi e tentazioni su cui la vigilanza non è mai troppa, ma i numeri e non le opinioni dicono che stiam parlando del meglio d’Italia. Sul che fare, sono altri i dati da guardare. Quelli di una Lombardia in cui il totale della spesa pubblica sommando la componente “centrale” è del 40% sul Pil regionale, la percentuale più bassa in Italia rispetto al 48,7% del Piemonte, al 71% della Basilicata, al 73% di Campania e Puglia, al 76% della Sicilia e al 78% della Calabria. Con un residuo fiscale – la differenza tra imposte procapite e spesa pubblica – record a 4460 euro annui procapite: in Veneto sono 1442, in Emilia Romagna 1323, per poi scendere agli attivi fiscali procapite di 3mila euro in Campania, 4300 in Sicilia, 4600 in Calabria.
So che sono dati contestatissimi al Sud. Ma la spesa per personale pubblico in Lombardia è di poco superiore ai 20 euro per abitante l’anno, in Campania supera i 70 euro, in Basilicata i 100, in Sardegna i 150, e in Sicilia addirittura sfonda quota 350. Qualcosa vorrà pur dire, oppure no secondo voi?