La Fiat ha richiesto per lo stabilimento di Melfi, in provincia di Potenza, la cassa integrazione straordinaria per ristrutturazione aziendale dal prossimo 11 febbraio al 31 dicembre 2014. A renderlo noto è la Fiom-Cgil, che ha espresso “forte preoccupazione perché a oggi ancora non si conoscono i dettagli degli investimenti per lo stabilimento”. La misura, di recente confermata anche dall’azienda, non dovrebbe riguardare l’intera produzione, ma, alternativamente, una delle due linee presenti nello stabilimento lucano. Mentre la Fiat definisce lo strumento della cassa integrazione “necessario per realizzare gli investimenti previsti per lo stabilimento”, la federazione dei metalmeccanici della Cgil chiede al Lingotto e alle istituzioni regionali “la massima trasparenza nella gestione della Cigs al fine di garantire la rotazione al lavoro di tutti i lavoratori, per impedire come avvenuto a Pomigliano discriminazioni e perdite salariali a danno dei lavoratori”. Abbiamo chiesto un commento al giornalista economico Ugo Bertone.
Crede siano fondate le preoccupazioni espresse dalla Fiom?
Quanto esprime la Fiom si inserisce in un particolarissimo rapporto con la Fiat che ci accompagna ormai da due anni. Credo che, arrivati a questo punto, sia più una battaglia di carattere politico che non di strategia industriale.
Cosa intende?
Se la Fiat avesse utilizzato uno solo dei consigli provenienti dalla Fiom, probabilmente non esisterebbe più oppure sarebbe un’azienda statale. La controprova possiamo averla semplicemente osservando ciò che sta accadendo nel resto d’Europa: la Peugeot, per esempio, pur ricevendo importanti aiuti dallo Stato francese, si è ritrovata in ginocchio per aver avviato i famosi nuovi investimenti e la produzione dei nuovi modelli. Una strategia che si è ben presto rivelata infattibile.
Cosa può dirci dunque di Fiat?
L’investimento annunciato recentemente, anche in presenza del presidente del Consiglio Monti, e inserito nel quadro di una strategia globale di Fiat-Chrysler, prevede l’utilizzo degli impianti italiani ristrutturati per sostenere l’offerta di Chrysler che sta crescendo a ritmi sostenuti e che crescerà ancora per tutto il 2013. All’interno di questa logica c’è anche la volontà di costruire la Jeep, destinata ai consumi cinesi e da produrre anche in Cina.
Come giudica gli investimenti, già effettuati o al momento solo annunciati, sugli stabilimenti italiani?
Il gruppo Fiat-Chrysler va ormai pensato come una cosa sola, un tutt’uno che quest’anno vende il 60% dei veicoli sul mercato nordamericano con il marchio Chrysler e più della metà del restante sul mercato brasiliano. In Europa, invece, come tutti i marchi che non si chiamano Volkswagen, sta soffrendo il crollo del mercato.
Di qui la scelta di mantenere in vita i siti produttivi italiani?
Certo, altrimenti non avrebbero sostanzialmente senso di esistere. Il progetto di inserirli in questo ciclo globale non è comunque semplice da attuare, visto che mai nella storia è stata costruita una Jeep in Europa da immettere successivamente sul mercato americano.
Non crede dunque che vi siano rischi di assistere a una nuova Fabbrica Italia?
Sono convinto che, al momento della presentazione del progetto, anche Marchionne ci credesse davvero. D’altronde, una volta avviato il piano Fabbrica Italia, nessuno poteva immaginare che il mercato dell’auto avrebbe subìto una simile flessione. Quello che è certo, però, è che fino a sei mesi fa in molti erano convinti che Marchionne avrebbe puntato esclusivamente su altri mercati rispetto a quello italiano, mentre i fatti mostrano esattamente il contrario. Vorrei infatti sapere, per esempio, quale altra azienda pubblica o privata italiana può vantare un investimento negli ultimi 5 anni paragonabile a quello fatto su Pomigliano.
Di cosa ci sarà bisogno affinché il progetto possa andare a buon fine?
Ci sono investimenti necessari che dovranno essere attuati e c’è una scommessa complessa che richiederà un intervento attivo da parte del governo per rendere competitivo un flusso di automobili che dall’Italia arriva fino agli Stati Uniti. Da un altro punto di vista, invece, è evidente che la Fiat, in termini di occupazione e non solo, dovrà necessariamente concedere qualcosa. Al momento ci troviamo nel pieno della battaglia, quindi credo che solo dopo le elezioni potrà essere trovata un’adeguata soluzione, anche con la Fiom.
(Claudio Perlini)