Fino a pochi mesi fa abitavo a Lugano, in Svizzera. Poi sono tornato a Milano, dove sono nato, e sto a cinquanta metri da via Muratori. L’altra sera a casa mia si sono sentiti gli spari. Poi le sirene dell’ambulanza e della polizia. Poco dopo ho incontrato un amico, aveva il volto teso: «Ho visto morire un uomo davanti ai miei occhi». Di fronte al marciapiede dove hanno ammazzato a colpi di pistola alla nuca Massimiliano Spelta e Carolina Payano Ortiz passo tutte le mattine per andare a lavorare. Il giorno dopo l’omicidio c’era l’inviata di Sky che intervistava uno dei testimoni.
Ho sempre desiderato vivere in centro a Milano. Prima di trasferirmi in Svizzera vivevo a Musocco, in via Sapri. Dal settimo piano vedevo via Triboniano (quella del campo rom), poi la ferrovia e, oltre ai binari, la distesa di Quartoggiaro. Nei giorni di bel tempo, con quel «cielo di Lombardia, così bello quand’è bello», sopra i palazzi si stagliavano la Grigna, la Grignetta e il Resegone. Più in là, nei tramonti d’estate, la neve bianca del Monte Rosa diventata rosa.
A Lugano sono stato 14 anni. Lì ho fatto il giornalista per due quotidiani locali. Un’occasione unica per capire come funziona un Paese straniero. Le cose che ieri Marina Marinetti scriveva sulla Svizzera sono tutte vere. Più o meno. Il Paese è più sicuro, si guadagna meglio, si paga la metà delle tasse che in Italia e ai giovani viene pagato il tirocinio. Ci sarebbero molte altre cose positive, ma non voglio dilungarmi.
Eppure anche nel “Paese fatato” ho visto il volto della violenza bruta e insensata. Come quella volta, nel 2002, che un cittadino rumeno, che si era opposto a un controllo doganale alla frontiera di Chiasso, pagò un sicario ceceno per vendicarsi dei tre doganieri. Il ceceno bussò all’appartamento di uno di questi e, trovando la moglie, non si fece scrupoli a sgozzarla. Aveva 31 anni ed era incinta di due gemelli. Aspettava un bambino anche un’altra donna assassinata dal marito nel 2010. Il cadavere fu ritrovato nel Lago di Como. Nel 2008 un ragazzo di 22 anni fu ucciso a calci da tre coetanei durante il carnevale di Locarno. Nel 2009 un uomo di 81 anni è stato ammazzato a pugni in una piazzola di sosta lungo l’autostrada. Motivo? Quello era un luogo di incontri clandestini per gay e il vecchio aveva fatto delle avance al giovane che l’avrebbe ucciso a pugni.
È vero, in Svizzera i cronisti di nera sono sottoccupati rispetto agli italiani. È vero anche che non ricordo di un omicidio di cui non si sia scoperto e condannato il colpevole. In Italia ce n’è uno all’anno per la gioia di Bruno Vespa.
Eppure me ne sono tornato lo stesso a Milano. Nel momento peggiore: nel bel mezzo della crisi e con la gente che ti spara sotto casa. Bisogna aver un bel motivo, direte voi. Sì ce l’ho. Chiunque sceglie di ficcarsi in una situazione più difficile o faticosa ha un buon motivo per farlo. Foss’anche decidere di crescere un figlio in una città che (sembra) sempre più violenta. Io non ho figli. Ho tre nipoti e vedo molti figli di miei coetanei. Ma penso che cresceranno bene anche in questa città così come è oggi.
Come chi è cresciuto qui durante gli Anni di piombo. Come chi è diventato grande sotto le bombe della Seconda guerra mondiale. Basta che ci sia qualcuno che li accompagni e abbia un buon motivo per non aver paura. O meglio, per guardare in faccia alla paura, quando c’è, e tirare avanti. Qualcuno che gli insegni a riconoscere di chi è giusto fidarsi e di chi invece è meglio stare alla larga. Una volta si chiamava “tirar su i figli”. Si può fare in mezzo ai cinesi, ma anche da altre parti.