Alfred North Whitehead
Introduzione alla Matematica
Sansoni – Firenze 1962
Club del Libro Fratelli Melita
Pag. 159 – Fuori catalogo
Whitehead nasce nel Kent (Inghilterra) il 15 settembre 1861 e muore il 30 dicembre 1947 nel Massachusset (Stati Uniti). Nella sua formazione, la severità degli studi di matematica non è mai stata un ostacolo all’approfondimento di problemi filosofici e di carattere generale. Questa versatilità l’accompagna in tutta la vita, portandolo ad altissimi contributi sia in matematica che in filosofia. Le sue opere prima del 1911 erano scritte unicamente per i matematici di professione.
Ricordiamo il Trattato di Algebra Universale del 1898 e i Principia Mathematica, pubblicato con Russel nel 1910. Nel 1911, invece, con la pubblicazione di Una introduzione alla matematica, egli scrive per la prima volta per un pubblico più vasto. Si preoccupa che il testo, in quanto introduttivo, non presenti eccessive difficoltà di lettura, per poter risultare comprensibile an¬che a chi non abbia approfondite conoscenze matematiche. Non sviluppa perciò argomenti troppo elevati come la logica, la teoria dei gruppi, la geometria proiettiva, eccetera e riduce l’indagine ai punti fondamentali degli argomenti scelti.
La lettura dell’indice aiuta a comprendere lo scopo del testo: la natura astratta della matematica; le variabili; metodi di applicazione; la dinamica, il simbolismo della matematica; le generalizzazioni del numero; i numeri immaginari; la geometria analitica; sezioni coniche; le funzioni; la periodicità della natura; la trigonometria, le successioni; il calcolo differenziale; la geometria, la quantità; nota sullo studio della matematica.
L’autore enuncia nelle primissime pagine che «lo scopo dei capitoli che seguono non è di insegnare la matematica, ma di mettere in grado gli studenti, fin dall’inizio del loro corso di studio, di sapere di cosa si occupa questa scienza e perché essa sia il necessario fondamento del pensiero esatto applicato ai fenomeni naturali». Parole di un insegnante universitario che i suoi allievi li guarda bene e si accorge che lo studio della matematica porta spesso delusione per l’impressione che «questa grande scienza sfugga ai tentativi delle nostre facoltà mentali di afferrarla».
Chi ama la matematica desidera sgomberare la via ai giovani, non liberandoli dalle difficoltà e dalla fatica, ma dalla polverosa confusione mentale. «Il motivo di questa mancanza di rispondenza tra questa scienza e la sua reputazione, è che le idee fondamentali non vengono spiegate allo studente senza districarle dal procedimento tecnico.» Idea certamente ancora attuale.
Nel capitolo finale, intitolato Nota sullo studio della matematica, raccomanda agli insegnanti di non sovraccaricare la mente con più dettagli del necessario per l’esemplificazione delle idee fondamentali.
La presentazione è concentrata sui significati interni di ciascun argomento e sul rapporto tra matematica e realtà.
Essa contiene i filoni specifici della sua formazione culturale: filosofica, storica e delle matematiche applicate, tutti necessari per chiarire quali siano le idee fondamentali. L’interesse filosofico riguarda i problemi di base di cui si era già occupato in precedenza: la natura della matematica, la sua unità e struttura interna e la sua applicabilità alla natura.
Gli approfondimenti che riguardano la storia della matematica mettono a fuoco l’origine, le caratteristiche dello sviluppo storico e la concezione circa le interrelazioni delle discipline matematiche di base.
L’interesse alla matematica applicata riguarda l’influenza reciproca tra fisica e matematica, e quindi la capacità del linguaggio matematico di descrivere la natura. Whitehead spiega, e pone a fondamento dell’opera, la natura astratta della matematica: «la caratteristica principale della matematica è che proprietà e idee sono applicabili alle cose proprio perché sono cose, escludendo sentimenti, emozioni o sensazioni con loro connesse.
Questo è ciò che significa dire che la matematica è una scienza astratta». Un utile punto di riflessione per gli insegnanti: la geometria non è meno astratta dell’algebra perché l’intuizione spaziale è un aiuto essenziale per il suo studio, ma è irrilevante dal punto di vista logico. Ma l’astrattezza non è lontananza dall’esperienza, e non è una perdita di utilità, anzi la matematica proprio perché è astratta è uno dei più importanti oggetti del pensiero. «Ma una volta che abbiamo messo da parte le sensazioni immediate, il lato più utile di ciò che rimane, per la sua chiarezza, determinazione ed universalità, consiste nei concetti generali delle proprietà formali astratte delle cose; cioè i concetti matematici astratti cui ci si riferiva sopra».
L’idea di fondo è che il compito della scienza è di cercare le connessioni per riuscire ad arrivare all’universale attraverso i particolari. Nella descrizione di queste connessioni è necessario un linguaggio, una forma il più possibile astratta, neutra. Da questa necessità l’umanità è stata spinta verso la matematica. Particolarmente interessante l’analisi del concetto di periodicità nella natura, che premette al capitolo sulle funzioni trigonometriche, strumento matematico che, nato da considerazioni sui triangoli, si è poi rivelato essenziale alla traduzione in termini matematici dei fenomeni periodici.
In relazione con la natura astratta della matematica, Whitehead specifica i concetti che sono alla base di tutte le discipline matematiche: «Le tre nozioni di variabile, forma e generalizzazione formano una specie di trinità matematica che domina l’intera materia. Esse derivano tutte dalla stessa radice, cioè dalla natura astratta di questa scienza». La nozione di variabile è specificata nei due concetti di «qualsiasi» e di «qualche», che sono fondamentali nelle discipline matematiche di base (i numeri in algebra e i punti in geometria).
Le nozioni di forma e di generalizzazione determinano correlazioni tra variabili e formalismo matematico.
Preziosissime le indicazioni sulla funzione del simbolo in matematica. Secondo l’autore, i simboli non sono gli elementi di una nuova lingua distinta dalla lingua ordinaria, ma rappresentano solo una stenografia nel discorso quotidiano che riguarda la matematica. Questa viene spesso ritenuta difficile e misteriosa a causa dei numerosi simboli che impiega.
Naturalmente, non c’è niente di più incomprensibile di un simbolismo di cui non si conosce il significato o che si conosce solo in parte, senza l’abitudine di usarlo (ecco tornare in causa l’insegnamento!). Ma questo non avviene perché i simboli sono difficili per se stessi, anzi essi sono stati quasi sempre introdotti per rendere le cose facili; infatti con l’aiuto dei simboli possiamo effettuare alcuni passaggi, con un ragionamento visivo quasi meccanico, che altrimenti avrebbero chiamato in gioco le più alte facoltà della mente. Essi realizzano quindi un’economia di pensiero. La civiltà progredisce quando aumenta il numero delle operazioni importanti che possiamo eseguire senza riflettere.
L’impiego del pensiero può venire paragonato alle cariche di cavalleria in una battaglia: sono di numero molto limitato, richiedono cavalli freschi e debbono venire effettuate soltanto nei momenti decisivi. Tra i simboli, è veramente magistrale l’analisi condotta sul simbolo dello zero.
Troppe volte noi insegnanti di matematica usiamo il termine «pensare» riferendoci ai nostri studenti senza identificare in cosa consiste questa azione. Se non imparano la matematica diciamo «non pensano» e così non analizziamo la questione.
Questo è un testo che ci aiuta a farlo e ci mette in grado di comunicare il fascino del pensiero matematico e scientifico. Un libro che si rivolge anzitutto a chi studia matematica e a chi l’insegna, ma utilissimo anche alle persone di cultura che si vantano di non comprendere la matematica. Attualmente è reperibile in lingua inglese. La traduzione in lingua italiana si può trovare in alcune librerie antiquarie.
Recensione di Anna Paola Longo
(Analisi Matematica – Politecnico di Torino)
© Pubblicato sul n° 39 di Emmeciquadro