Fra dieci giorni i milanesi verranno richiamati alle urne per il ballottaggio delle elezioni comunali e dovranno compiere una scelta, questa volta definitiva, tra Letizia Moratti e Giuliano Pisapia. «Al primo turno – dice Antonio Intiglietta a IlSussidiario.net – sembra aver prevalso tra i cittadini l’indignazione e la reazione istintiva verso un certo modo di fare politica e di comunicarla. Oggi occorre però che ciascuno recuperi le ragioni della propria libertà e della propria responsabilità. Consegnare il governo della città a una sinistra radicale e statalista significa infatti soffocare ogni possibile esperienza di libertà e di creatività nella società milanese, delegando ogni azione al centralismo burocratico e amministrativo».
Alcuni giornali hanno visto dietro al risultato di lunedì una sorta di complotto della Compagnia delle Opere. Lei cosa risponde?
Guardi, è inutile perdere tempo davanti a chi invece di costruire e affermare le ragioni di una speranza e di un voto si attarda a denigrare gli altri. La verità è che noi abbiamo vissuto un’esperienza fantastica di presenza e di testimonianza di come la fede possa diventare intelligenza sulla realtà e permetta di formulare un giudizio e una decisione per un voto che affermi la libertà contro lo statalismo. Diversamente da una parte del mondo cattolico che, in nome di valori come la carità e la solidarietà, spera che la realizzazione della società si realizzi grazie a un potere, presunto buono.
Ma qual è secondo lei il dato politico più importante di questo primo turno?
Innanzitutto non si è verificato un avanzamento della sinistra, che infatti ha preso 3.000 voti in meno di cinque anni fa, ma un calo del centrodestra. I dieci punti percentuali in meno si spiegano però con le fratture che questo schieramento ha subito in questi anni e con la perdita di consensi subita dalla sua leadership.
E al ballottaggio quale sarà la posta in gioco?
È un confronto tra due concezioni: quella di chi confida nella libertà e nella creatività del popolo e quella di chi ripone le proprie speranze nella centralità del governo e dell’amministrazione pubblica. Per questo sono convinto che quella per Letizia Moratti sia una scelta di libertà più che un’opzione tra un blocco politico e l’altro.
Può fare qualche esempio concreto?
Basterebbe pensare a cosa potrebbe significare per Milano uno stravolgimento del Piano del Territorio. Lo sviluppo della città si arresterebbe, compromettendo così gli investimenti internazionali. Lo stesso discorso vale per la possibilità di una libera iniziativa in campo sociale ed educativo.
È emblematica la risposta data da Giuliano Pisapia sul tema della sussidiarietà, in una recente intervista a IlSussidiario.net. Per lui ciò che conta è l’innervamento del potere pubblico a tutti i livelli per cui l’istituzione, centrale o decentrata che sia, non ha la minima preoccupazione di creare le condizioni affinché la libera iniziativa accada: è la burocrazia la vera protagonista della città. Il mondo associativo, eventualmente, può servire da tappabuchi laddove il pubblico non riesca ad arrivare.
Negli ultimi cinque anni invece qual è stata la bussola?
Il perno dello sviluppo sociale educativo della città è stato costituito a mio avviso dalla centralità della famiglia, dalla libertà educativa e formativa e da una concezione tutta protesa a sostenere le nuove generazioni. A questo oggi si contrappone una logica radicalmente opposta che, ad esempio, nel settore della formazione punta tutto sull’organizzazione comunale sulle scuole civiche senza nemmeno prendere in considerazione quelle risposte nate dalla società civile che costituiscono la migliore risposta al problema occupazionale di molti giovani.
Insomma, a Milano c’è in gioco la possibilità di vivere, di essere protagonisti e di costruire. Senza questa libertà le conseguenze sociali, politiche ed economiche saranno gravi per tutti.