Un decreto del governo Monti potrebbe obbligare la Cassa depositi e prestiti (Cdp) ad acquistare il 30% di Snam, la società che gestisce la distribuzione di gas naturale e i metanodotti. Le azioni saranno cedute da Eni. Cdp è un colosso con 260 miliardi di raccolta ed è posseduta al 70% dal ministero dell’Economia e al 30% fa 65 fondazioni bancarie. Il suo amministratore delegato, Giovanni Gorno Tempini, è stato intervistato dal Corriere della Sera che gli ha chiesto di illustrare il significato dell’operazione. Come sottolinea Federico Pontoni, professore allo IEFE dell’Università Bocconi di Milano, “il governo Monti si dichiara a favore delle liberalizzazioni, ma la bozza di decreto va verso la direzione opposta riportandoci indietro di 12 anni, prima che il decreto Letta liberalizzasse il mercato del gas. Se le azioni cedute da Eni fossero state messe all’asta, ne avrebbero invece beneficiato sia le finanze pubbliche sia il mercato”.
Professor Pontoni, come valuta l’ipotesi di acquisizione del 30% di Snam da parte di Cdp?
In quanto economista, la valuto molto negativamente. Con un decreto legge, si obbliga una società privata, sebbene partecipata dal ministero, a comprare le azioni di un’altra società. La soluzione migliore sarebbe stata organizzare un’asta e mettere Snam sul mercato, e poi partecipare con Cassa depositi e prestiti per provare a vincere quella determinata quota. In secondo luogo, l’acquisto delle quote Snam avviene mentre si stanno avviando le gare per l’assegnazione del servizio di distribuzione del mercato del gas. In questo modo lo Stato, attraverso Cdp, controllerà Snam e quindi Italgas. La conseguenza sarà una rete di distribuzione nuovamente nazionalizzata, con Snam che incasserà grandi dividendi da Italgas, per poi girare a sua volta somme cospicue a Cassa depositi e prestiti.
Ritiene che questo rappresenti un grave ostacolo alla concorrenza?
Sì, in quanto Cdp controlla anche il principale rivale di Italgas nella distribuzione, il fondo F2i di Vito Gamberale.
Perché il governo Monti, che ufficialmente si dichiara a favore delle liberalizzazioni, nazionalizza il settore del gas?
Non lo so, ma è un dato di fatto che mi sarei aspettato un provvedimento del genere da un governo di sinistra, non da un governo presieduto dall’ex commissario europeo alla concorrenza.
Che cosa intende dire?
Dieci anni fa si è deciso di privatizzare e liberalizzare l’intero mercato del gas. Oggi stiamo nazionalizzando nuovamente la rete di trasporto e di conseguenza la rete di distribuzione.
Per Gorno Tempini, “il legislatore intende conservare il controllo di Snam in mani pubbliche”, in quanto il gas è “un monopolio naturale, strategico per la politica energetica del Paese”. E’ d’accordo con lui?
E’ il trasporto, e non l’intero mercato del gas, a rappresentare un monopolio naturale. E per preservarlo non c’è bisogno che finisca in mani pubbliche, è sufficiente un regolatore. Snam potrebbe quindi essere tranquillamente gestita da privati, come accade in altri Paesi, a condizione che ci sia un’autorità garante in grado di stabilire le tariffe. Se il regolatore lavora bene non c’è bisogno del controllo pubblico. In Italia l’authority non solo esiste, ma stabilisce i criteri di funzionamento della rete di trasporto, approva i piani di investimento e le condizioni d’accesso non discriminatorio. L’acquisto del 30% di Snam da parte di Cdp rappresenta dunque il ritorno al capitalismo di Stato.
Per l’ad di Cdp però la necessità di un intervento pubblico sarebbe documentata dall’esperienza positiva di Terna. Non è così?
Terna è un esempio che funziona, ed è controllata a sua volta da Cassa depositi e prestiti. Ricordo che tempo fa Cdp fu sanzionata dall’antitrust, proprio per questa posizione, e fu costretta a cedere le quote di Enel. Una situazione simile a quella che si creerebbe ora, in quanto oltre ad avere le quote di Snam, Cdp è azionista di riferimento di Eni.
Lei ha proposto di mettere all’asta le quote di Snam. Quali sarebbero i vantaggi per le finanze pubbliche e per il mercato?
Eni, vendendo la sua partecipazione in Snam, sarebbe molto più liquida e incassando cifre molto cospicue le potrebbe poi utilizzare per altri investimenti. Ma si potrebbe anche fare sì che il ricavato della vendita forzosa di Eni sia destinato per un dividendo straordinario ai suoi azionisti, fra cui il ministero del Tesoro, che lo potrebbe utilizzare a sua volta per ridurre il debito.
(Pietro Vernizzi)