A Roma, l’ Istituto Nazionale per la Grafica, dal 10 dicembre scorso promuove un singolare percorso storico-artistico con a tema il rebus, gioco la cui forza comunicativa sta nel mettere l’immagine e le lettere sullo stesso piano. Proprio nell’ottica della comunicazione del non detto, l’esposizione si prefigge di mostrare come, attraverso cinque secoli della storia italiana, la soluzione del rebus possa aver mutato forma ma non il suo scopo ultimo, che è appunto il taciuto.
La prima sezione raccoglie rebus realizzati per la maggior parte a china su piccoli o medi supporti cartacei, destinati alla stampa ed alla diffusione presso gli ambienti più elevati della società del 1500, dai salotti alla corte papale di Pio IX. A quest’ultima era destinato il drappo di notevoli dimensioni esposto, su cui in forma di rebus vi sono comunicati i complimenti per una donazione territoriale dallo stesso pontefice concessa ad una famiglia della media nobiltà. Spettacolare in special modo è la pagina di uno dei quaderni di Leonardo Da Vinci: parole ed immagini minuscole si alternano nello spazio di una facciata, la cui lettura è oltremodo complicata sia per il fatto che è scritta da destra verso sinistra, sia per la sottigliezza dei termini e delle figure dal maestro utilizzate.
Il percorso continua nelle sale e nei secoli fino al momento in cui nasce in Italia la famosa Settimana Enigmistica e con essa la moderna tecnica illustrativa e strategica del rebus. Sulla sua scia e forti della tradizione, opere di vari illustratori ed enigmisti si affiancano in una corsa per l’originalità, e vere e proprie collezioni di immagini e parole vengono a crearsi, producendo una scia che arriva fino alla metà del novecento.
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Con l’opera di Giorgio DeChirico e dei suoi successori fino alla modernità più estrema, il rebus perde il suo significato comunicativo, pur rimanendo nella sua forma strutturale composta da parole ed immagini ma avendo come punto di fuga una dimensione astratta che al fine è non senso.
Ciò che del rebus rimane in conclusione è da una parte la meraviglia di una comunicazione percepibile solamente se si raggiunge una certa perspicacia, che ha un non so che di significato nascosto e profondo, dall’altra la liberazione dalla complessità comunicativa che avviene grazie all’arte moderna per cui non c’è altro messaggio davanti all’opera se non l’opera stessa.
“Ah che rebus” sarà visitabile fino all’8 marzo presso Palazzo Poli a Roma.
Per maggiori informazioni, il sito dell’Istituto Nazionale per la Grafica.
(Caterina Gatti)