Il dettaglio che ha colpito da subito la fantasia dei giornalisti sono stati i sandali. Gianluigi De Palo, il nuovo assessore alla Famiglia del Comune di Roma, li indossa per un voto fatto anni fa di ritorno dalla Terra Santa. Ma per lui – trentaquattrenne, presidente delle Acli nella provincia di Roma e del Forum delle Famiglie del Lazio – l’ingresso in giunta non è solo una questione di immagine. Al Sussidiario parla della politica come servizio, «al di là delle appartenenze» di partito. «Oggi per decidere di fare figli bisogna essere matti – ironizza – ma il desiderio di famiglia che abbiamo nel cuore è ancora grande». La lista delle priorità di De Palo allora parte dal quoziente familiare e dall’attuazione concreta del principio di sussidiarietà.
Quale può essere il contributo di un cattolico, e di un cattolico impegnato nel sociale, per questa nuova giunta?
«I cattolici – ma non solo loro – sono chiamati al bene comune. Il mio impegno nasce da un’amicizia col sindaco, anche se due anni fa non votai per Alemanno. Ho conosciuto però una persona sincera, schietta, che evita gli approcci ideologici e sta dando il passo a questa città. Ci sta mettendo il cuore.
«Io sono romano, questo può essere il modo per servire la mia città in modo diverso da quello che ho fatto finora. Perché in qualche modo già la sto servendo la mia città, come marito e come padre educando i miei figli. E poi come presidente di una grande associazione come le Acli e del Forum delle Famiglie. Il fatto di essere cattolico è un valore aggiunto: il senso della mia vita di cattolico è il dono di sé. Questa è un’altra forma di dono, per il bene comune».
Il sindaco Alemanno cercava un “rappresentante” del mondo cattolico. Ma è possibile “rappresentare” i cattolici? È una bella responsabilità…
«Il sindaco cercava qualcuno che provenisse dalla società civile. Poi certo io ho la mia storia: sono “cintura nera di catechismo”, ho lavorato all’organizzazione della Giornata della gioventù, conosco bene le parrocchie. La mia storia è nel mondo cattolico, ma non mi sento un “rappresentante”. Non sono così arrogante da avere questa pretesa. È vero anche che ho avuto telefonate da decine di parroci di suore, da qualche vescovo: c’è un mondo che mi appoggia, ma senza che da parte mia ci sia la pretesa di rappresentare quel mondo. Ci sono molti, anche tra quelli che mi conoscono, che non si sentiranno rappresentati. E spero che ci siano molti non cattolici che possano sentirsi rappresentati dal mio stile».
Non è la prima volta che qualcuno delle Acli entra in politica, ma fino a qualche anno fa la collaborazione con una giunta “di destra” sarebbe stata impensabile. È un segno dei tempi?
QUOZIENTE FAMILIARE E SUSSIDIARIETA’ TRA LE PRIORITA’, CONTINUA A LEGGERE L’INTERVISTA A DE PALO CLICCANDO SULLA FRECCIA
«Le Acli sono fatte di persone, ciascuna con la sua idea politica. Io vengo dalla generazione di internet e di Wojtyla: quelli della nostra età magari al municipio hanno votato per un loro amico, alle comunali hanno scelto un partito e alle europee un altro. Il Paese non funziona con i blocchi politici, non raccontiamoci una realtà virtuale che non corrisponde al Paese reale. Nelle Acli conosco persone davvero poliedriche, ma c’è una comunanza di valori che ci fa stare insieme. E che è prioritaria, grazie a Dio, rispetto all’appartenenza politica.
«La mia scelta è stata soffertissima, perché facevo cose che mi piacevano e avevo un ruolo “istituzionale”; ma se la società civile ha la possibilità di esprimere una persona che lavori per il bene comune, è una scelta che va al di là dei colori. Il bene comune è di destra o di sinistra? La famiglia è di destra? E gli immigrati sono di sinistra? La persona ha un colore? Sono schemi lontani dal mio modo di concepire la vita, non solo la politica».
Parliamo allora di provvedimenti concreti, partendo dal quoziente familiare. A Roma qualcosa è stato fatto, ma si è sentito dire che sono state misure troppo timide. Ci sono novità in programma?
«È vero che si può fare di più, ma bisogna ripartire da quello che è stato seminato: sono in ottimi rapporti con l’ex assessore Marsilio, abbiamo lavorato spesso insieme e ora – per una casualità – io mi ritrovo al posto suo. È un momento di crisi, non ci sono soldi a bizzeffe; ma nella situazione italiana la famiglia “costituzionale” regge, nonostante le difficoltà del caso. Oggi chi si sposa è matto. Io sono sposato e ho tre figli: sono un matto. Quello che sorprende è che, nonostante tutto, la gente ha un concetto di famiglia molto elevato: un sondaggio mostra che l’86% dei giovani reputa la famiglia la cosa più importante nella vita. Sono numeri impressionanti, superiori anche a quelli degli anni Ottanta. Il mondo è cambiato, ma il desiderio di famiglia che abbiamo nel cuore è ancora grande.
«Conosco il sindaco, so che crede profondamente nell’impegno del quoziente familiare. L’importante è creare un sistema che sia percepito dalle famiglie romane. Devono sentirsi appoggiate anche “culturalmente” nel loro desiderio di fare figli. Dobbiamo far sentire che le istituzioni sono vicine a chi fa questa scelta, che risponde ai loro desideri ma è assolutamente sconveniente dal punto di vista economico.
«A livello comunale si può agire su alcuni servizi, ma è fondamentale che Roma diventi un traino in grado di influenzare anche il livello regionale e nazionale. Cercheremo quindi di lavorare insieme alle regione: la legge regionale 32 del 2001 è ottima, prevede già al suo interno il quoziente. Va finanziata, perché possa essere applicata».
Hai parlato spesso di sussidiarietà. Che progetti ci sono?
«Per una serie di servizi di cui le famiglie hanno necessità, come quelli rivolti all’infanzia, esistono già dei gruppi di persone che si sono messe insieme e si sono attrezzate per rispondere al loro bisogno. Noi dobbiamo riconoscere il loro lavoro ed aiutarle affinché possano continuare a offrire quei servizi. Non bisogna abbandonare queste realtà, come insegnano la Costituzione e la dottrina sociale della Chiesa. Anche perché ci fanno risparmiare. Ognuno deve dare il suo contributo: le istituzioni possono mettere a disposizione le poche risorse che hanno e poi ci vuole un po’ di "fantasia della carità", come diceva Giovanni Paolo II».
Ma un assessore “tecnico” in una giunta di politici non rischia di rimanere schiacciato? Gli altri assessori hanno i partiti alle spalle…
«E io ho il sindaco. Ho dato la mia disponibilità al sindaco per il suo progetto: sono a sua disposizione, cercando di lavorare per il bene comune».
(Lorenzo Biondi)