L’Imu sui capannoni costerà agli imprenditori milanesi ben il 154,4% in più rispetto a quanto pagavano con l’Ici. E’ quanto emerge da una ricerca della Cgia di Mestre, secondo cui l’aumento medio per ciascun imprenditore nel Comune amministrato da Giuliano Pisapia è stato di 2.331 euro. Va male anche nei Comuni di Lucca e Lecce, dove l’incremento è stato del 131,3%, pari a un aggravio di 1.158 euro nella città toscana e di 2.501 euro in quella pugliese. In media a livello nazionale l’Imu per le imprese è costato il 67% in più rispetto all’Ici. Su 98 Comuni capoluogo analizzati dalla Cgia di Mestre, 13 hanno mantenuto l’aliquota base del 7,6 per mille, due l’hanno diminuita al 6,6 per mille, 84 l’hanno aumentata e 33 l’hanno portata al 10,6 per mille, pari al valore massimo consentito dalla legge. Quasi ovunque la scelta è stata quella di alzare nei limiti del possibile l’aliquota Imu per le imprese, per cercare di non pesare troppo sulle prime case. Ilsussidiario.net ha intervistato Paolo Preti, direttore del master Piccole imprese della Sda Bocconi.
Come valuta i dati che emergono dalla ricerca della Cgia di Mestre?
Non conosco il dato, anche se non metto in dubbio la serietà del lavoro della Cgia di Mestre che è sempre molto attenta e precisa. Prendendo quindi per buone queste statistiche, ritengo le amministrazioni comunali abbiano compiuto un grave errore. Pesare sulle imprese di piccola e media dimensione significa esporle in modo incrementale a un rischio di chiusura. Se le aziende falliscono, le famiglie possono anche pagare meno l’Imu sulla prima casa, ma non portano a casa lo stipendio. Se davvero l’incremento dell’Imu per le imprese è spiegabile con una scelta dei Comuni di applicare le aliquote maggiori sui capannoni per sgravare le famiglie, si tratta di una scelta che non condivido.
In che modo è possibile aiutare realmente le famiglie che spesso non arrivano a fine mese?
Occorre tenere conto del fatto che spesso all’origine del reddito della famiglia ci sono uno o due dei suoi componenti che lavorano in un’azienda di piccole o medie dimensioni. Se le imprese rischiano di chiudere, anche a causa dell’Imu pagata in un’aliquota superiore a quella sulle abitazioni, non andiamo da nessuna parte. Spesso dietro alla scelta di tassare di più i capannoni rispetto alle case c’è un giudizio, apparentemente comprensibile, sul fatto che le famiglie siano da difendere, e questo è giusto, mentre le aziende no.
Le famiglie non sono forse più fragili rispetto alle imprese?
Il punto è che queste ultime non sono tutte multinazionali e banche in mano a pochi miliardari. In realtà, anche se per ignoranza e ideologia si tende a misconoscerlo, la stragrande maggioranza delle aziende in Italia, le quali danno lavoro a milioni di persone, sono di piccola e media dimensione, a vocazione imprenditoriale, di proprietà familiare e a prevalenza manifatturiera. Se è questo il modello italiano, non si capisce perché svantaggiare le imprese, sia pure per avvantaggiare le famiglie.
Anche l’Imu sulle abitazioni è aumentata…
E’ stato introdotto un aggiornamento catastale del 60%. L’imponibile su cui si calcola la tassa nel caso dell’Imu prevede un aggiornamento, e quindi un aumento, della base imponibile. I valori catastali erano fermi da decenni, di conseguenza il valore reale delle case è oggettivamente aumentato: è stata quindi applicata questa percentuale e la tassa che si paga è aumentata in proporzione. Un conto però è che cresca del 60%, un altro del 154%.
Da qualche parte bisognava pur prenderli i soldi per risanare i conti pubblici …
Giustamente si parla di risanare i conti pubblici. Il fatto però è che le banche sostengono l’economia del Paese, acquistando titoli del debito pubblico, ma in questo modo non riescono a erogare credito alle imprese. D’altra parte la necessità di risanare i bilanci porta ad aumentare la pressione fiscale. Si tratta di due istanze di per sé giuste, pagare le tasse e sostenere il debito pubblico, ma sono realizzate con modalità così negative che strangolano l’economia.
Anche l’evasione fiscale incide su questo scenario?
Se a pagare le tasse sono 50 cittadini su 100, quei 50 ne pagheranno sempre di più finché saranno costretti a chiudere la loro impresa. Se le banche continuano a sottoscrivere solo titoli del debito pubblico e non fanno credito alle imprese, aiutano l’Italia, ma il settore produttivo sarà sempre più in difficoltà finché nella tenaglia composta da tasse e mancanza di credito finiranno per chiudere.
L’Italia non viene prima delle singole imprese?
L’Italia in tutto questo non guadagna nulla, e sto parlando della nazione composta da cittadini e da famiglie che vivono di redditi guadagnati con il loro lavoro. E’ uno dei temi forti di questa campagna elettorale: le posizioni in campo sono ben note, tutti si muovono ovviamente con la migliore delle ipotesi, ma l’esito finale resta tutto da vedere.
(Pietro Vernizzi)