Al di là della competizione per intestarsene la paternità, Formigoni e la Lega sembrano intenzionati realmente a lavorare per la creazione della macroregione del nord. Le differenze di fondo, probabilmente, non sono ancora state superate: Formigoni vorrebbe un’unica macroregione, frutto, in sostanza, della fusione delle altre con la Lombardia; la Lega preferisce una confederazione tra Regioni. Sta di fatto che il governatore lombardo e Maroni, ieri, si sono incontrati nella sede della Lomabardia. E hanno messo a tema proprio la costituzione di un nuovo corpo intermedio che contenga le realtà territoriali settentrionali. «Si cammina positivamente», ha commentato Formigoni su Twitter. Quante possibilità ci sono che si vada realmente in questa direzione e cosa potrebbe cambiare? Lo abbiamo chiesto a Giancarlo Pola, professore di Finanza degli Enti locali presso l’Università di Ferrara.
Cosa ne pensa dell’idea targata Formigoni-Lega?
Anzitutto, cerchiamo di capire di cosa stiamo parlando. La macroregione del Nord dovrebbe essere composta, a quanto par di capire, da Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna e Veneto (Plev, l’ho ribattezzata); per inciso, non capisco perché nessuno abbia parlato di Liguria… In ogni caso, una siffatta realtà avrebbe circa 24 milioni di abitanti e un Pil pari a circa il 40% di quello nazionale. Contestualmente al Pil elevato, se prendiamo in considerazione i parametri attuali, avrebbe un residuo fiscale elevatissimo. Significa che godrebbe di un ritorno fiscale, in termini di trasferimenti, decisamente inferiore alle ricchezza prodotta e alle imposte versate. L’opposto di quello che accade al sud ove, a fronte di una produzione di ricchezza decisamente inferiore rispetto a quella del nord, vi sarebbero elevatissimi trasferimenti. Non è tutto.
Prego
Una Regione così composta, avrebbe dimensioni economiche superiori a quella della Renania, (Renania Westfalia + Renania Palatinato); disporrebbe, inoltre, di coerenza e trasparenza nella pratiche burocratiche, amministrative e contabili in misura decisamente superiore rispetto al resto d’Italia.
Detto questo, quali vantaggi comporterebbero le due ipotesi di aggregazione?
I leghisti vogliono dar vita ad una realtà dotata di sostanziale autonomia politica, anche sul piano internazionale, che possa essere rappresentata, quindi, in Europa; una volta seduti ai banchi europei, i leghisti, non ho idea, di cosa avrebbero intenzione di fare. Tanto più che l’ipotesi potrebbe contribuire ad accentuare i timori circa l’uscita dell’Italia dall’euro; Formigoni, invece, è meno “sfrontato”. Il suo intento consiste nel rafforzare le richieste del nord rispetto ad una perequazione delle risorse volta al recupero di quanto, negli ultimi decenni, è andato perduto a beneficio del resto del Paese.
Concretamente, come si può procedere in tal senso?
Credo che Formigoni conti sull’appoggio della Lega. La quale non è escluso che, in qualche forma, possa rinunciare alla sua idea pur di strappare in sede di discussione parlamentare qualche concessione in più rispetto a quanto ottenuto nelle scorse riforme. Sulla falsariga del precedente spagnolo.
Di cosa parla?
Nel 2006, venne approvato, in Spagna, lo Statuto di autonomia catalana. Con esso, la ricca Catalogna strappò a Madrid una concessione in base alla quale, dopo aver versato per anni tributi decisamente superiori a quanto otteneva in cambio, avrebbe dovuto ricevere, da allora e per sette anni, investimenti in infrastrutture pari alla propria quota di Pil. Ebbene: la Lombardia, da sola, difficilmente potrebbe strappare una concessione del genere, pur essendo la prima vittima dei residui fiscali. Ma, assieme alle altre Regioni, avrebbe molte più chance di spuntarla.
Dovrebbe chiedere investimenti in infrastrutture?
Certamente. Non si deve mica pensare che solo il Sud ne abbia bisogno. Anzi. Lì, spesso, gli investimenti per strade o acquedotti vengono dilapidati, mentre le opere a cui sono destinati non vengono neppure portate a compimento. D’altro canto,le regioni più produttive, per continuare ad essere tali, necessitano di profondi interventi di ristrutturazione e riorganizzazione infrastrutturale.
Crede che potrebbero esserci benefici anche sul piano del riassetto amministrativo, in termini di eliminazione o accorpamenti di enti e apparati superflui?
Anche in tal caso, molto dipende dal potere contrattuale della macroregione. Se una tale richiesta fosse avanzata “solamente” da dieci milioni di lombardi, tutti sospetterebbero del condizionamento leghista. Una richiesta mossa dal Plev, invece, avrebbe un potere contrattuale, nei confronti dello Stato centrale, del tutto differente.
I vantaggi per le Regioni coinvolte sono evidenti. E quelli per l’Italia?
Come è noto, lo sviluppo di un qualunque Paese è il portato dello sviluppo di una sua area interna superiore alla media. Aumentare la potenza del motore avvantaggia l’intero apparato.
(Paolo Nessi)