Caro direttore,
Il fatto che Letizia Moratti abbia perso, non significa che Giuliano Pisapia abbia vinto. Perché, a prescindere dall’analisi dei flussi, è innegabile che a Milano il centrosinistra, oltre a raccogliere i propri, di consensi, abbia raccolto soprattutto il disinnamoramento per un certo tipo di politica. O meglio: di certi politici. Per questo la debacle è stata così devastante, perché nessuno l’aveva immaginata.
Il problema è che nel centrodestra c’è la presunzione di potersi permettere qualunque cosa. Ma non è così. Non lo è più. Certi comportamenti non sono più difendibili. Così Letizia Moratti, checché se ne dica, non ha pagato tanto la sua presunta algidità, quanto l’eccessiva disinvoltura di chi le sta intorno. A cominciare dal figlio, che, volente o nolente, ha dato di sé, e dunque della madre che l’ha cresciuto, l’immagine del personaggio che può permettersi di agire in spregio delle regole e, soprattutto, al di sopra del comune cittadino.
I milanesi hanno mal digerito la triste vicenda della “bat-caverna” in attesa del condono grazie al Piano di governo del territorio di mammà, per non parlare della ciliegina sulla torta: il poligono di tiro privato. Come sia stato vissuto il tutto in casa Moratti è difficile da immaginare. Il problema è però, come sempre, l’immagine che si dà, in questo caso l’immagine della famiglia: possibile credere che di un progetto talmente ambizioso la madre non sapesse nulla? E allora perché non l’ha bloccato, in vista di una fase delicata come quella elettorale? Delle due, l’una: o non sapeva cosa accadeva sotto il suo naso, oppure se ne è bellamente infischiata. In entrambi i casi, la figura che ne esce non è delle migliori. E non si può credere che i milanesi non abbiano accusato il colpo.
Lo scherzo che Gabriele ha giocato alla madre, però, è solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso di un elettorato che avverte sempre più pressante l’esigenza di un colpo di spugna che riporti moralità all’interno di quel “nuovo” che, dopo quasi vent’anni di governo del territorio, tanto più nuovo non è. Inutile cercare un capro espiatorio nella scarsa comunicatività di Letizia Moratti (tutta da verificare) e far finta di nulla sul comportamento del leader, un settantacinquenne così fiero della sua virilità, autentica o indotta che sia, da passare sopra a qualunque cosa, istituzioni comprese. Nessuno è così idiota da non sapere che gli scandali dell’ultimo periodo hanno fortemente influenzato il voto. Ammetterlo, però, è tutto un altro paio di maniche.
Berlusconi ha giustamente inserito il termometro del consenso sotto la lingua degli elettori milanesi. Il messaggio che gli è tornato indietro è chiaro: è ora di fare un passo indietro. Può permetterselo. Per tutti gli altri, invece, il messaggio deve essere incoraggiante: il bipolarismo dovuto al sistema maggioritario che per anni ha schiacciato l’elettore non funziona più. E l’elettore ha rialzato la testa e ha imparato a utilizzarlo per farsi sentire, nonostante tutto. Cosa pretende? Più moralità, meno sfacciataggine. Più programmi, meno personalismi.
La vera differenza tra centrosinistra e centrodestra è la diversa visione del ruolo delle istituzioni: per la prima tutti i servizi devono essere accentrati nel pubblico, per la seconda i privati possono contribuire efficacemente al benessere comune. Ma questa differenza, nella campagna elettorale milanese, non è emersa. Ha fatto capolino solo dopo il primo turno, prima del ballottaggio, ma non è bastato. Quello che è emerso sono invece i peccati, veri o presunti, dell’una e dell’altra parte.
Se la Moratti ha perso le elezioni, è tutto il centrodestra che deve restare fermo un giro. Raccogliere le idee, controllare meglio la sua squadra. E rimettere al centro la persona. Non solo l’elettore, ma anche il politico. Che deve tornare a essere uno specchio di integrità per poter rappresentare le istituzioni. Questa non è una sconfitta: è un’opportunità. Un’opportunità per chi ha gli argomenti del centrodestra e per chi può pensare alla partita futura. È il segnale che è iniziata la fine di Berlusconi. Ma il centrodestra non è solo Berlusconi.