“Nella gelosia c’è piú amor proprio che amore” diceva Francois de la Rochefocault, e forse oggi come allora, nella gelosia soffriamo per ciò che ci viene sottratto, e ai tempi nostri forse ciò che più manca è il tempo. Tempo per noi stessi, tempo per la coppia, per la famiglia.
Basta ascoltare i discorsi degli amici per rendersi conto che spesso, ciò che suscita la gelosia sono il collega o il capo “piacioni”, ma il lavoro in sé, e il tempo che, da casa, si dedica a scaricare mail, ricevere telefonate, elaborare documenti grazie alla scellerata complicità di portatili e smartphone.
Una gelosia nuova che, secondo Corinna De Cesare, che ha trattato l’argomento nel blog di Corriere.it, La 27esima ora, vale sia per gli uomini che per le donne, un male moderno e biunivoco.
E’ innegabile che anche durante una cena tra amici, intrattenersi in una lunga telefonata col collega o rispondere a una mail urgente, sono gesti che oltre un certo limite di tempo (2 minuti?) vengono mal tollerati, come segno di disinteresse o quanto meno di maleducazione.
L’effetto è ancora più nefasto all’interno della coppia tanto che, per evitare discussioni,si arriva a scaricare le mail in bagno, mentre si finge di truccarsi (o di fare la barba).
Altro caso tipico, riporta la De Cesare, è quello delle coppie in cui lui supporta lei (o viceversa) nel percorso universitario e nel periodo della gavetta, incoraggiando e sostenendo il partner nelle sue scelte e nei momenti di fatica, salvo poi fare un repentino dietro front a carriera avviata, quando le ore di straordinario o i problemi lavorativi irrompono nella routine familiare.
Tra i commenti all’articolo, che sembrano confermare questa tendenza, uno in particolare li riassume tutti:”perchè non se ne sta al lavoro/ufficio ancora un po’ poi torna a casa con la testa libera per me e per i nostri fatti? (…) Si può tollerarlo da un libero professionista o un imprenditore ma portare a casa il lavoro dipendente come abitudine è un po’ una fuga da una realtà che evidentemente non soddisfa.
Basta prenderne atto.”