«Ho avuto la possibilità di scegliere le zone di Milano su cui concentrarmi e alla fine ho optato per la zona sud della città, in particolare Rozzano, Cesano Boscone e Gratosoglio. In quest’ultima mi sono fermata più a lungo, dopo aver visto tre palazzine identiche che, poste in circolo, creavano al centro una piazza, un punto di ritrovo per i giovani che abitano nel quartiere. Ho fatto molta fatica a entrare in contatto con loro: mi guardavano titubanti, qualcuno mi chiedeva se fossi della polizia, altri mi ignoravano. Se avessi avuto a disposizione più tempo, sarebbe sicuramente stato possibile creare un altro tipo di rapporto e ottenere la loro fiducia».
Gli scatti della fotografa Arianna Arcara, intervistata da IlSussidiario.net, saranno visibili dal 25 maggio al 24 giugno all’Istituto Nazionale per la Grafica a Roma, nella mostra fotografica “Fuori Centro” realizzata da Focsiv, che raccoglie 80 fotografie scattate dalle zone periferiche di undici città del mondo, tra cui Dakar, New York, Gaza City e Monterrey in Messico.
Ad Arianna è stata affidata Milano e per 24 ore ha potuto osservare una realtà che in pochi conoscono veramente: «Sono stata contattata dalla coordinatrice della mostra che mi ha illustrato il progetto. Le fotografie dovevano essere realizzate nell’arco di 24 ore, quindi dal punto di vista della tempistica non è stato molto semplice organizzarmi, però tutti i fotografi coinvolti hanno scattato dalle nove di sera di un giorno prestabilito, per concludere alla stessa ora del giorno successivo. Inoltre i lavori dovevano in particolar modo riguardare il mondo giovanile, ed entrare in contatto con i ragazzi in così poco tempo è complicato».
Come sei entrata in contatto con i ragazzi di quelle zone?
Il pomeriggio in cui sono andata a Gratosoglio sono rimasta a chiacchierare per qualche ora con i ragazzi che incontravo riguardo alle loro abitudini, le loro giornate, la scuola e il lavoro. Nelle mie fotografie ho evitato di rappresentare questi ragazzi in pose da bulli, minacciosi, magari con la sigaretta in bocca, ma ho provato ad avvicinarmi il più possibile a quella che è la loro vita reale.
Ho notato che le ragazze frequentavano quasi tutte la scuola ed erano intenzionate a concludere gli studi, mentre molti maschi l’avevano già lasciata e facevano i lavori più disparati, dall’idraulico al parrucchiere.
Cosa ti ha colpito di più di questa esperienza?
Soprattutto la rassegnazione che veniva fuori dalle loro parole, la convinzione di non avere i mezzi per potere cambiare, o semplicemente la consapevolezza che il loro mondo sia tutto lì, all’interno di quella piazza, senza riuscire a sporgersi per vedere cosa c’è fuori.
Una ragazza, con cui ho parlato per qualche ora, mi raccontava della sua vita e a un certo punto mi dice: «Nessuno crede in noi. Nessuno si fa mai vedere da queste parti per farci vedere cos’altro c’è oltre a questo». Continuava poi a parlarmi del fatto che all’interno del quartiere non c’è nessun tipo di attività e quindi loro trascorrono tutti i giorni allo stesso modo. Quando io le ho chiesto se si annoiasse, lei mi ha risposto: «Sì, ma tanto che altro c’è fa fare?».
Che impressione ti ha fatto la periferia milanese?
Mi ha dato l’impressione che può avere chiunque pensando a una periferia di ogni grande città. Palazzoni grigi e un’atmosfera pesante che personalmente mi ha fatto avvertire una strana sensazione di ansia.
Mi ha colpito la presenza invece di tante zone verdi a Rozzano. È stato bello vedere parchetti e giardini sparsi qua e là, proprio tra quei palazzi così austeri.
Pensi che la mostra fotografica “Fuori Centro” possa aiutare in qualche modo?
Spero sempre che queste iniziative possano servire a smuovere le acque e a spingere le amministrazioni a fare di più per le zone periferiche delle città. A volte basterebbe anche molto poco per questi ragazzi che all’inizio sembrano duri e burberi, ma che dopo poco dimostrano di essere molto sensibili. La prima volta che gli ho chiesto di poterli fotografare neanche mi parlavano, alla fine, dopo un pomeriggio intero trascorso insieme, qualcuno è venuto addirittura a ringraziarmi…
(Claudio Perlini)