«Torniamo a pensare al real estate come al sistema complesso che cambia il volto delle città, e non come a un insieme di interessi finalizzati soltanto alla speculazione». È l’auspicio di Antonio Intiglietta, presidente di GeFi e di Gestione Fiere Spa, nonché l’ideatore degli Stati generali del Real Estate in corso alla Fiera di Milano fino al 9 giugno. In tutto oltre cento eventi in due giorni e mezzo, accomunati da tre obiettivi: fare prendere coscienza del ruolo fondamentale del real estate agli attori di questo sistema complesso, trasformare l’immagine che l’opinione pubblica e il mondo economico hanno del settore, creare delle alleanze con le istituzioni nazionali e locali. Il sussidiario.net ha chiesto a Intiglietta di illustrare questi obiettivi nel dettaglio.
Intiglietta, da dove nasce l’idea degli Stati generali del Real Estate?
Il lavoro svolto negli ultimi anni nel sistema del real estate mi ha fatto prendere consapevolezza del fatto che in Italia esiste un comparto di grande professionalità che riguarda lo sviluppo delle costruzioni. Progettare, costruire e realizzare lo sviluppo è una sfida sempre più complessa rispetto al passato. Per comprendere il ruolo del real estate non basta pensare a delle imprese che acquistano dei terreni, costruiscono dei palazzi e li vendono, esaurendo così la loro funzione. Si tratta al contrario di un sistema fortemente articolato, che ha a che fare innanzitutto con la trasformazione sociale, economica e culturale di una città e di un territorio. Milano per esempio nell’arco di 50 anni è cambiata passando da una grande città industriale a un polo del terziario e quindi del terziario avanzato, che ospita diverse eccellenze dell’innovazione, della ricerca, della formazione, della comunicazione e del marketing.
E in che modo questo cambiamento ha a che fare con il real estate?
In simultanea con la riconversione della vocazione economica di Milano, è avvenuta anche una trasformazione del territorio: al posto delle aree industriali sono sorte delle aree dismesse, dove c’erano le fabbriche sono nati gli uffici, i laboratori, le case, i centri commerciali e una nuova rete di servizi. La città insomma ha cambiato volto, e il real estate è l’infrastruttura attraverso cui ciò è potuto avvenire. Una realtà composita, al cui interno vi sono le case, gli uffici, i negozi, i palazzi, i laboratori, i cinema, i teatri, i luoghi d’incontro, le scuole, le università e i centri logistici. Il real estate quindi è questa complessità di competenze e progettazione, in funzione della trasformazione della vita sociale ed economica della città, di una regione e di un intero Paese.
Chi sono gli attori che compongono questo sistema?
Al suo interno si trovano a lavorare fianco a fianco professionisti, imprese, società finanziarie, advisor e architetti. Solo come volano il real estate rappresenta il 12% del Pil italiano, mentre in Cina è al 20%. Per sua natura rappresenta cioè un «fattore-motore» dell’economia di un Paese. Il primo motivo per cui ho indetto gli Stati generali del Real Estate è quindi che i protagonisti di questo sistema hanno bisogno di prendere consapevolezza del contributo che ciascuno di loro può dare per la migliore trasformazione del territorio e gestione dei beni, che riguardano la vita sociale ed economica di un Paese.
Si tratta quindi di un evento solo per addetti ai lavori?
Niente affatto, perché il secondo obiettivo degli Stati generali è fare conoscere il sistema del real estate all’opinione pubblica e alla realtà economica italiana. Troppo spesso si tende infatti a credere che il real estate sia il sistema degli speculatori edilizi e finanziari, mentre non è così. L’errore di alcuni infatti non può eliminare così velocemente un comparto così importante e strategico per lo sviluppo di un Paese.
Gli Stati generali sono rivolti anche alle istituzioni?
Sì, infatti questo sistema deve definire delle nuove alleanze nel dialogo con le istituzioni pubbliche nazionali e locali e con il mondo economico-finanziario. E’ importante infatti che le leggi aiutino lo sviluppo e le trasformazioni, perché altrimenti gli investimenti finiscono per privilegiare Paesi diversi dall’Italia che di conseguenza si impoverisce sempre di più. Ma investire è anche attrarre know-how, imprese e progetti mondiali che possono trovare nel nostro Paese la loro casa naturale. Perché la nostra nazione è la più bella al mondo, grazie a un tessuto urbano che nasce da 2mila anni di storia.
In che modo è possibile tutelare questa bellezza dalla cementificazione indiscriminata?
Occorre una normativa grazie a cui sia chiaro come è possibile trasformare il territorio, definendo contorni e principi, criteri e tempi. Inoltre questo sistema deve definire un nuovo patto con il sistema finanziario, che per troppi anni ha erogato molti fondi a chi li chiedeva per costruire, in modo quasi acritico, e che invece oggi ha bisogno di ritrovare un rapporto fiduciario e di riformulare dei criteri.
Perché tra i temi centrali degli Stati generali avete scelto il social housing?
Perché è il presente e il futuro della risposta al bisogno abitativo, sia delle persone che vengono in Italia in cerca di lavoro, sia per quanti vivono già in Italia, e che sono in una fase della loro vita in cui non possono permettersi di comperare una casa. Queste fasce sociali hanno bisogno quindi di un affitto, a condizioni economiche non speculative come quelle che ci sono oggi. Abbiamo capito che questo era un settore che avrebbe avuto un grande sviluppo perché corrisponde a una grande domanda che rimane ancora fortemente inevasa, un bisogno di abitare e di vivere in un ambito che altrimenti diventa inospitale. Grandi città come Milano, Roma, Torino, Bologna e Bari ultimamente sono inospitali, proprio per questa incapacità di offrire abitazioni in affitto a prezzi economicamente sostenibili. E per rientrare in questa definizione, un canone di locazione non deve superare il 30% del reddito mensile. Anche quest’anno quindi nel corso di Eire si terrà la Social housing exhibition, con l’obiettivo di esporre i progetti di housing sociale elaborati dai vari operatori presenti sul mercato
(Pietro Vernizzi)