L’Usada (agenzia statunitense antidoping) ha pubblicato il dossier su Lance Armstrong. Oltre duecento pagine in cui sono raccolte tutte le accuse mosse dallo sport americano a uno dei suoi campioni più importanti. Sono in bilico tutti i suoi successi dal 1998 in avanti, a partire dai sette Tour de France vinti consecutivamente dal 1999 al 2005. In queste pagine ci sono ventisei testimonianze giurate, comprese undici di ex corridori della US Postal, per svelare con prove “conclusive ed innegabili” quello che l’Usada definisce “il doping di squadra più sofisticato, professionale e riuscito mai visto nella storia dello sport” (clicca qui per leggere la notizia). Ovviamente al cuore di questo sistema c’era il campione sopravvissuto al cancro. L’Usada ha ringraziato gli ex compagni di squadra di Armstrong, coraggiosi “a fare la scelta di smettere di avallare questa frode”. Oltre alle testimonianze, nel dossier si possono trovare anche prove finanziarie del doping di squadra alla Us Postal, e-mail, analisi e risultati di laboratorio che dimostrerebbero anche come Armstrong fosse dopato durante le vittorie dei suoi sette Tour de France. Per commentare queste vicende, abbiamo sentito Ivano Fanini, che con la sua squadra “Amore & Vita” è padalino della lotta al doping nel ciclismo: la sua appassionata analisi va ben oltre il singolo caso. Intervista in esclusiva per IlSussidiario.net.
Fanini, come commenta la vicenda di Lance Armstrong? Io sono contento, sono anni che dico queste cose su Armstrong… Sono contento perché sono la persona che più di tutte si è esposta per la lotta al doping nel ciclismo. Inoltre, noi come italiani possiamo essere orgogliosi del fatto che tutto questo è venuto fuori grazie ai Nas, a partire da quelli di Firenze.
L’Italia è all’avanguardia nella lotta al doping? Sì, perché c’è stato qualcuno che ha fatto venire fuori il marcio. I Nas nel ciclismo li ho portati io denunciando tutto quello che non andava. Hanno fatto un bel lavoro, anche se mi dispiace che tanti corridori ci abbiano rimesso. Ma è il prezzo che bisogna pagare per avere un ciclismo più pulito. Però bisogna stare attenti, perché la strada da fare è ancora lunga: ci sono tanti corridori che ancora ricercano nuovi prodotti, e la ricerca deve sempre inseguire chi fa il furbo…
Il ciclismo oggi è meglio di allora? La situazione è migliorata, anche se le medie sono sempre troppo alte. Chi vuole andare avanti barando, una strada la trova sempre. Il miglioramento è dovuto ad una sola cosa: tutti i più grandi campioni sono stati beccati. Questo farà riflettere la nuova generazione, che spero capisca che si deve gareggiare puliti, come minimo perché si ha la certezza che – se si bara – prima poi si viene scoperti… E la vicenda di Armstrong insegna che si può venire smascherati anche dopo la fine della carriera.
Quindi questa vicenda può avere anche un valore educativo? Certamente sì, anche perché verrà ricordata per sempre nel mondo del ciclismo e dello sport. Togliere sette Tour de France a uno dei personaggi più famosi dello sport mondiale farà storia e verrà ricordato anche quando noi che ci siamo oggi saremo tutti morti… Quindi spero proprio che sia di monito e di insegnamento per tutti. Mi dispiace solo che tutto questo poteva succedere già nel 1996…
Il mancato blitz alla partenza del Giro d’Italia? Esatto. I Nas di Firenze erano pronti a bloccare a Brindisi la nave in partenza verso la Grecia con tutta la carovana (quell’anno il Giro partiva da Atene per celebrare il centenario delle Olimpiadi, ndR). Se quell’operazione fosse andata in porto, saremmo stati molti anni avanti nella lotta al doping: si sarebbe scoperto in fallo l’intero gruppo e avrebbero dovuto esserci cambiamenti radicali e immediati. E magari si sarebbero salvate le vite di alcuni corridori che sono morti, compreso Pantani…
E invece?
Purtroppo la Lega Ciclismo e gli organizzatori fecero saltare la retata e impedirono di fare una pulizia drastica. Gli interessi in ballo erano troppo grandi, ma il ciclismo avrebbe potuto cambiare totalmente già 16 anni fa.
Potrebbe succedere ora? Speriamo di sì. Speriamo che tutti capiscano che si deve correre puliti, ma se allora si fosse bloccato tutto il Giro d’Italia l’impatto sarebbe stato ancora più forte. Senza contare tutti i casi che ci sono stati da allora in poi – e naturalmente quando li beccano tutti professano di essere innocenti… Anche sul caso degli “uomini in nero” che andavano dal dottor Ferrari avevo ragione io. Bertagnolli alla Usada ha confermato che per andare da lui i corridori si vestivano in nero: bugie non ne ho dette, anche se poi magari non so esattamente chi andava da lui e chi invece si allenava solo insieme a questi ciclisti coinvolti.
Quindi è anche una soddisfazione personale per lei? Sì, io ne sono contento. Facendo la guerra al doping credo di avere dato un contributo importante a far cambiare in meglio il ciclismo rispetto all’immobilismo dei tempi di Verbrugghe. Io sono uscito dall’omertà e sono stato isolato da tutti.
Questa battaglia le è costata molto? Ho fatto 16 Giri consecutivi e abbiamo sempre vinto qualcosa. Poi, per la carità, anche i miei corridori potevano essere coinvolti: ma quando ho beccato un mio corridore in fin di vita per emotrasfusioni che si faceva da solo in camera, ho cambiato vita totalmente anche a costo di uscire dal giro del grande ciclismo. Sì, sono soddisfatto per quello che sta succedendo.
Si dovrebbe ripartire da zero? Sarebbe la cosa migliore. D’altronde, in ogni settore della vita umana c’è chi bara, chi vuole diventare più ricco, più potente, più famoso, più bello, più forte… Bisognerebbe cambiare il cuore degli uomini, più che il ciclismo.
Lei è ottimista? Più se ne parla, meglio è. Io credo che le cose possano cambiare: questa è una grande vittoria dello sport pulito su chi vuole bluffare e pensa di averla fatta franca. Invece la giustizia può arrivare anche dopo anni: e speriamo che questo convinca anche i tanti Riccò che ci sono nel mondo del ciclismo. Lui ha pagato, ma ce ne sono ancora tanti in giro…
(Mauro Mantegazza)