La disoccupazione colpisce i giovani soprattutto nel Lazio. I dati, forniti dalle Acli in occasione del dodicesimo congresso regionale “ Lavoro e partecipazione: speranza per i giovani, futuro per la comunità” sono preoccupanti. Il Lazio registra una percentuale fra i giovani nella fascia di età fra i 15 e i 24 anni superiore alla media, già alta, del paese. Punto debole è l’occupazione dei ragazzi che hanno appena terminato la formazione scolastica e, seguendo il trend nel resto d’Italia, anche quello che riguarda le giovani donne. I contratti atipici sono più della metà per i giovani lavoratori che, secondo, la ricerca sono pessimisti sul proprio futuro. “I dati sono un segno di qualcosa di grave- dice Lidia Borzì, presidente della Regione Lazio delle Acli e responsabile nazionale delle politiche per la famiglia- sono numeri sterili ma racchiudono storie di persone che vivono male questo momento storico”.
Dottoressa Borzì, i dati laziali sono particolarmente preoccupanti.
Certo, seguono il trend del paese ma sono più alti della media nazionale. Esattamente l’8,2% contro l’8% per quanto riguarda le persone di età compresa fra i 15 e 74 anni mentre per ciò che riguarda i giovani dal 15 ai 24 anni la questione è più seria.
Cioè?
I dati si attestano al 32,5% per la nostra regione contro il 27,9% della media italiana. Sono quei ragazzi che uscendo la percorso formativo trovano grandi difficoltà a ottenere un ingresso nel mercato del lavoro, sia perché quest’ultimo è stagnante, sia perché le qualifiche dei neo diplomati e laureati non sono considerate appetibili. E su questo punto la riforma dell’apprendistato dovrà dare una risposta.
Cosa prevede questa riforma?
L’apprendistato non è più legato alle mansioni manuali ma a tutti i ruoli occupazionali e a tutti i livelli. Come è noto, però, per la riforma del lavoro dipendiamo da decisioni nazionali di cui si sta discutendo proprio in questi giorni. Noi siamo preoccupati che questa riforma possa portare solo sacrifici per i lavoratori piuttosto che favorire l’occupazione in tempi brevi e che le soluzioni di oggi diventino i problemi di domani.
Quali sono i punti deboli della riforma in discussione?
L’apprendistato non è più legato alle mansioni manuali ma a tutti i ruoli occupazionali e a tutti i livelli. Come è noto, però, per la riforma del lavoro dipendiamo da decisioni nazionali di cui si sta discutendo proprio in questi giorni. Noi siamo preoccupati che questa riforma possa portare solo sacrifici per i lavoratori piuttosto che favorire l’occupazione in tempi brevi e che le soluzioni di oggi diventino i problemi di domani.
Quali sono i punti deboli della riforma in discussione?
Noi, come Acli, auspichiamo che abbia una particolare attenzione al tema delicato della conciliazione che non può più essere un tema concesso ma un diritto per tutti i lavoratori, a prescindere dal tipo di contratto applicato. Chiediamo che non esistano in futuro lavoratori di serie A e di serie B. Il dato sulla presenza di lavoratori atipici nel Lazio, che si attesta al 56,5% contro la media nazionale del 53,9%, è il sentore di un mercato dell’occupazione incapace di fornire tutele per tutti.
Le donne, nel Lazio, sono le più penalizzate.
Le donne disoccupate fra i 15 e i 24 anni, nella regione Lazio, sono il 35,9%, un dato altissimo contro la media ferma al 31,1%. Non ho, purtroppo, dati sulle motivazioni di questa discrepanza e non voglio pensare che il motivo è rappresentato dal fatto che quella è un’età critica per sposarti e formare una famiglia. I dati statistici, invece, dicono esattamente il contrario e cioè che le donne si laureano prima e con voti più alti di quelli dei coetanei di sesso maschile. Il dato “freddo”, invece, c’è sulla non capacità delle donne nel rientrare nel mondo del lavoro dopo la gravidanza: una su tre. Sono dati che ci devo preoccupare perché sono lontanissimi dall’obiettivo del trattato di Lisbona che prevederebbe un’occupazione femminile al 60%.
Secondo la vostra ricerca, l’85% dei giovani pensa che ricoprirà una posizione sociale minore rispetto a quella dei proprio genitori.
C’è grande pessimismo fra i ragazzi. Sebbene i loro genitori abbi1ano fatto più sacrifici per studiare, sono riusciti a emergere. Oggi moltissimi laureati svolgono mansioni non adeguate ai propri titoli di studio, con grande insoddisfazione. L’ascensore sociale oggi non funziona più.
Quali sono i punti di debolezza registrati nel Lazio?
L’indice Gini, utilizzato dall’OCSE per misurare le disuguaglianze sociali, è di pochi punti il più alto d’Italia. Nella nostra regione si attesta sullo 0,339 mentre quello italiano è dello 0,322. Questo significa che la ricchezza è appannaggio di pochissime persone, a fronte di una popolazione ben più vasta che fatica a tirare avanti. Consideriamo, poi, che il Lazio ha delle peculiarità geografiche specifiche: la città maggiore è la più popolosa d’Italia con più di sei milioni di abitanti mentre gli altri capoluoghi sono rappresentati da cittadine che non raggiungono i 100mila abitanti. Tutto questo non può che comportare diseguaglianze politiche, sociali e culturali.
Il punto di forza, invece?
Da una parte, la regione Lazio ha la fortuna di avere nel proprio territorio geografico Roma, che essendo capitale, è un grande collettore di eventi e che quindi, offre continuamente nuove possibilità, seppur brevi, di impiego. Mi riferiscono a fiere, venti, incontri, riunioni, comizi. Dall’altra parte, c’è una forte partecipazione giovanile nel sociale e nel volontariato.
(Federica Ghizzardi)