Sul tema del pagamento dell’arretrato della Pubblica amministrazione si naviga con l’approssimazione tipica dei precedenti provvedimenti governativi su temi altrettanto rilevanti (esodati, lavoro, pensioni, marò): “quanti, come non lo so, ma… abbiamo sbagliato”. Il direttore centrale ricerca economica di Bankitalia dice: “Prendendo per buone le nostre stime, e partiamo da 90 miliardi, 10 di questi sono già stati finanziati da banche, una parte è comunque fisiologica, perché se anche le Pubbliche amministrazioni pagassero in 30-60 giorni avremmo un discreto numero di miliardi che sarebbero assolutamente fisiologici, verosimilmente 20-25 miliardi, quindi arriviamo a 50”. E il ministro Grilli: “La gran parte dei 40 miliardi di liquidità per saldare i debiti della p.a. non andrà alle banche cui andrà una terza tranche o una parte minoritaria delle prime due”.
Dunque non conosciamo per nulla i dati sui quali opererà il decreto che saranno chiamati ad approvare i nuovi parlamentari, senza aver avuto il tempo di esaminare e verificare i termini del problema. Ma il tema è stato ormai metabolizzato, dopo una lunga campagna stampa de Il Sole 24 Ore, mirante ad aggregare non solo i soci di confindustria, ma tutti i piccoli imprenditori con una parola chiave semplice, e non contrastabile: “Pagateci”. Concreta fattibilità, effetti previsti e soluzioni alternative: nessuna traccia. Annunciano che vogliono pagare – tutti e subito – e così recuperano voti alle imminenti elezioni. Dopo la promessa di Berlusconi di rimborsare con i suoi soldi l’imu, quella del governo Monti è di pagare i debiti – anche quelli derivanti dalle opere pubbliche delle varie cricche e della Tav, immagino- , ma … con i soldi nostri. Infatti, basta emettere un pochettino di debito, definito buono e una tantum, et voilà: ai posteri l’arduo pagamento.
Ma vediamo di affrontare separatamente i due livelli della questione, quello del metodo usato dal governo e quello della soluzione adottata, in termini di governance operative. A livello di metodo, come non dare ragione a Grillo quando dice che dovrebbe essere il parlamento sovrano a legiferare, sviluppando compiutamentei vari apetti del problema, e NON il Governo a operare con la scusa dell’urgenza: ma se ci sono crediti non pagati da anni, un mese in più cosa cambia. E comunque il Parlamento può fare buone leggi anche in poche settimane, avvalendosi di tutte le competenze e scoprendo, magari, che gli organismi preposti come, ad esempio, Banca d’Italia e le Direzioni centrali dei Ministeri, non sono così competenti come dovrebbero. Se i parlamentari della precedente legislatura si dedicavano ad altro, accettando di essere eterodiretti per decreto legge, oggi i nuovi possono provare ad approvare una legge quadro che deleghi al Governo la sola implementazione, nei limiti dal Parlamento sovrano imposti. Semmai, il governo riferisca sui fatti ed i risultati concreti dei precedenti provvedimenti di certificazione.
A livello di soluzione proposta, è ignoranza contabile pensare che il problema dei ritardi si risolva solo stanziando una somma – che non viene creata dal nulla! -. I 20 o 30 o chissà miliardi sono comunque frutto della diversa allocazione di risorse che si ritengono utilizzabili: infatti occorre rimanere sotto il tetto del 3% di deficit. E una volta data la priorità a questa spesa, non si possono però gestire 40 miliardi senza creare una idonea struttura di gestione e controllo del meccanismo dei pagamenti, all’interno di uno schema di funzionamento dei flussi cassa delle varie amministrazioni pubbliche.
Se le imprese creditrici soddisfatte apprezzeranno questa iniezione di liquidità, le imprese escluse e i nuovi fornitori sono certi di non subire un ulteriore ritardo o di esporsi al rischio che i nuovi debiti non saranno pagati in 60 giorni? E ancora, pare sconosciuto il tema della legalità nella gestione di una tale massa di denaro con procedure straordinarie e in tempi di crisi. Se ci sarà discrezionalità, chi la gestirà? E se non ci sarà, allora sarà somma l’ingiustizia.
Ed ecco il tema delle banche: anche se Grilli sostiene che i soldi saranno dati prioritariamente alle imprese, è evidente che le stesse dovranno immediatamente recarsi a versarli in banca. Non un soldo resterà alle attività: appena azzerato il rosso, le banche non prorogheranno i fidi alle piccole imprese bisognose, che nel frattempo hanno ottenuto un merito creditizio basso, forse proprio per il mancato incasso. Se si deve finanziare l’economia reale, il denaro deve essere finalizzato al pagamento discrezionale da parte delle imprese dei loro creditori – fornitori, lavoratori, fisco e non solo banche, privilegiate di fatto. Ad esempio, occorre rendere obbligatorio l’apertura di un conto bancario separato, per la gestione libera da parte dell’impresa ma con obbligo di rendicontazione. E infine, per il reperimento delle risorse, si deve pensare necessariamente a soluzioni innovative, come l’emissione di titoli pubblici speciali, garantiti o accettati in pagamento di tasse e altre obbligazioni verso l’erario.
Il patrimonio immobiliare dello Stato, per diverse centinaia di miliardi, è invendibile nel breve periodo e non puòessere fonte di cassa; l’oro di Banca d’Italia è attualmente una risorsa meramente contabile, senza funzione sociale, e gli italiani, veri proprietari, ritengono che esso vada utilizzato come garanzia; le quote di varie società pubbliche a maggioranza, come ENI, ENEL, FINMECCANICA e MPS possono essere fungere da collaterale di operazioni strutturate, o cedute in pagamento. Le soluzioni diverse dal togliere, in un modo od un altro, soldi dalle tasche degli italiani mettono però in crisi i centri di potere, e quindi meglio non parlarne e procedere per decreto. Tanto, anche con i grillini contro, “ha da passà a nuttata”… e poi sarà come prima.