Come emerge oggi dalla ricerca scientifica, in particolare dalla biologia evoluzionistica, dalle biotecnologie, dalle neuroscienze, dalle scienze informatiche, la questione antropologica, cioè la domanda sull’uomo, sulla natura umana? Questo tema è stato messo a fuoco dall’autore nell’ambito di un corso di formazione per docenti (
Natura e persona nell’epoca delle tecnoscienze) che poneva come ipotesi di lavoro l’idea che «l’identità dell’uomo non si individua attraverso un metodo di pensiero che rende l’uomo cosa, oggetto; si coglie piuttosto attraverso una narrazione dei fatti e degli atti che lo hanno generato e che prevediamo lo generino in futuro».
Così, nel ricuperare le caratteristiche dell’uomo dalla storia che lo ha generato, siamo condotti a riflettere sulla strada che ha portato fino a noi, e a cercare in questa strada gli elementi caratteristici dell’identità umana per chiederci anche dove sta andando l’uomo.
Noi abitiamo un pianeta che rappresenta una parte infinitesima del cosmo: un pianeta abitato tuttavia da esseri che sono stati capaci, con la loro tecnologia, di vedere l’inizio del tutto.
La stessa scienza quindi che ci aveva relegato in un angolo infinitesimo del cosmo, facendoci vedere l’inizio del tutto ci rimette vicino al principio di tutto, ci riallaccia strettamente alla domanda delle domande: perché esiste il tutto, e io cosa sono? E poi come è andata la storia della vita?
Foto dell’universo 379000 anni dopo il suo inizio ottenuta dal satellite WMAP (wmap.gsfc.nasa.gov)
Anche qui la scienza ci racconta una storia incredibile: incredibile sia per la scansione temporale, che per l’imprevedibilità assoluta degli esiti. Un tempo lunghissimo di apparente immobilità (più o meno 3 miliardi di anni), poi un’esplosione di forme viventi (Cambriano, 570 milioni di anni fa) seguita da estinzioni spaventose (la fauna di Burgess Shale sparisce solo 40 milioni di anni dopo l’esplosione cambriana), e poi un’altra estinzione di massa 225 milioni di anni fa (fra paleo e mesozoico, più del 96% delle specie spariscono) e un’altra ancora 65 milioni di anni fa (dinosauri).
E da tutto questo sconvolgimento, la linea che porterà a Homo è una linea infinitamente esile: un ramoscello microscopico. Eppure si mantiene, si distacca dalla grandi scimmie circa 10 milioni di anni fa, rimane praticamente ferma per milioni di anni fino ad un milione di anni fa con Homo abilis e infine poi solo 30.000 anni fa compare il sapiens.
Noi siamo quindi una specie giovanissima, evento minuscolo, imprevedibile di una storia lunghissima costellata da sconvolgimenti terribili, ognuno dei quali avrebbe potuto spazzarci via come linea evolutiva migliaia di volte. Eppure siamo emersi da questo tempo profondo dotati di una capacità, l’intelligenza, in grado di trasformare il pianeta e sondare l’Universo.
La risposta allora alla domanda del «come il tutto ha preso un cammino che porta fino a noi» ha una prima importante connotazione: siamo il risultato di un’incredibile serie di «coincidenze» favorevoli. Nessuno ci avrebbe scommesso.
È opera del caso come dice Jacques Monod e della selezione del più adatto (teorie darwiniste e neodarwiniste) oppure altri meccanismi sono all’opera? E c’è uno scopo in questa storia, una tendenza, un fine? e se c’è, quale è? È lo scopo ultimo del vivente, in quanto vivente, la sua sopravvivenza, e tutte le strategie messe in atto dal vivente sono specificazioni di questo scopo, come affermano le teorie evoluzioniste?
Certamente uno scopo appropriato della matrice operativa biologica è la sopravvivenza: ma se il fine fosse solo la sopravvivenza, allora i batteri sarebbero i più finalisti di tutti. Un’esplosione atomica planetaria spazzerebbe via tutti i viventi e solo i microrganismi potrebbero sopravvivere.
C’è però un’altra tendenza presente ed evidente nella materia vivente ed è la sua capacità di cooperare a tutti i livelli, dal livello molecolare al livello di popolazione: i geni cooperano tra loro nel genoma, i genomi cooperano tra loro nelle cellule, le cellule nei tessuti, gli organi negli organismi, gli organismi nelle popolazioni, eccetera.
La razionalità in fondo è lo strumento evolutivamente più recente e più potente di potenzialità cooperativa ed è quello tipico della specie umana.
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Carlo Soave (Ordinario di Fisiologia Vegetale presso l’Università degli Studi di Milano)© Pubblicato sul
n° 34 di Emmeciquadro