Leggendo i giornali e le analisi degli istituti di ricerca, si ha spesso l’impressione che la nostra vita, specie dall’inizio della crisi ad oggi, sia guidata in larga parte dagli indici di borsa, dallo spread e da tutta una serie di parametri economici intangibili. Ogni tanto verrebbe da chiedersi se il mondo reale, quello della produzione, della creazione degli oggetti e in ultima analisi del valore, sia scomparso per lasciare il posto ai freddi numeri della finanza. Poi, fortunatamente, pur in uno scenario internazionale complesso e in una situazione europea (soprattutto nel sud Europa) di recessione, capita sempre più spesso di sentir parlare di case history straordinarie. Di persone che, partendo dal nulla, creano dei prodotti innovativi e poi delle aziende di successo, alcune delle quali destinate a cambiare la nostra vita per sempre. Citare la Apple è un “classico”, ma nonostante i fiumi di parole spesi su quella straordinaria avventura che, partendo da un garage, ha portato l’azienda a raggiungere un valore di 700 dollari ad azione, forse vale ancora la pena riflettere su chi, ancora oggi, vuole “fare qualcosa”. E, fortunatamente, sono in tanti.
Travolti come siamo dal flusso delle informazioni e della connessione, che é ormai parte della nostra quotidianità, sembra che ci siamo dimenticati che il mondo della manifattura rappresenta ancora oggi i tre quarti dell’economia mondiale e che, nonostante tutto, il commercio online costituisce soltanto il 10 percento delle vendite totali. Allora, verrebbe da pensare, tutto quanto si dice della rivoluzione di Internet non corrisponde a verità? In realtà, come suggerisce Chris Anderson in “Makers”, stiamo assistendo, proprio grazie alla rete, al ritorno della produzione. Ma in modo diverso. Se pensiamo al mondo moderno, dalla rivoluzione industriale in poi, non possiamo che associarlo alla produzione di prodotti da parte di grandi aziende e in grandi quantitativi. Dal modello “T” di Ford in avanti, abbiamo assistito alla replica costante del processo iniziale che è stato via via migliorato e perfezionato. Tuttavia dal punto di vista generale, non abbiamo assistito a stravolgimenti del paradigma. Fino ad oggi. Oggi infatti grazie all’open source stiamo assistendo alla nascita di imprese in modo del tutto innovativo. Chi ha un’idea può (anzi deve, secondo questo approccio innovativo) condividerla in rete, cercando supporto e competenze a bassissimo costo e ad elevatissimo contenuto in un modo impensabile fino a qualche anno fa.
Questo significa che un singolo può dar vita ad una produzione autonoma, ad elevato livello di personalizzazione, senza dover per forza possedere i mezzi di produzione, come avveniva un tempo con conseguenze politico sociali importanti (pensiamo soltanto agli scritti di Marx sull’argomento). Grazie alla rete, possiamo ideare un prodotto, chiedere a coloro che condividono quella passione cosa ne pensano e addirittura farci aiutare a migliorarlo. E poi trovare, sempre in rete, il posto più conveniente dove realizzarlo anche in quantitativi ridotti a costi sostenibili. Se a questo aggiungiamo che tramite il “crowdfunding” (ovvero la raccolta di preordini del prodotto online con relativo versamento di una caparra iniziale) è possibile finanziare il progetto senza dover ricorrere alle banche o all’indebitamento, non possiamo che ammettere che siamo di fronte ad una seconda rivoluzione industriale. “L’open source – sostiene Chris Anderson, imprenditore ed ex direttore di Wired negli Stati Uniti – non è solo un metodo efficiente per l’innovazione, ma è un sistema di credenze che per i suoi aderenti ha la stessa importanza della democrazia o del capitalismo”.
Inutile dire inoltre che questo modo di fare impresa può contare su una naturale predisposizione, non solo ad avvalersi dei migliori cervelli che esistono in tutto il mondo in tempo reale, ma anche di trovare i migliori fornitori (in termini di convenienza e qualità) e di poter disporre sin da subito di un mercato internazionale. E oggi sappiamo tutti quanto sia importante poter contare su un business sviluppato in tutti i continenti. Chi opera su tutti i mercati in modo bilanciato, non solo negli ultimi anni ha visto il proprio business crescere in modo importante, ma ha anche modo di affrontare i momenti di crisi in modo migliore contrapponendo alle performance dei paesi in recessione, quelle delle economie emergenti. L’impresa basata sull’open source ci deve far riflettere anche su un altro tema: quello del costo della manodopera. Se fino ad oggi abbiamo assistito alla fuga della produzione verso i paesi dove la manodopera è a più basso costo, oggi la situazione in questo campo sta mutando drasticamente tanto che il Boston Consulting Group in una ricerca recente ha stimato che nel 2015 il costo netto di produzione in Cina raggiungerà quello degli Stati Uniti, rendendo di fatto non conveniente trasferire la produzione nelle provincie industriali del Guangdong come molti hanno fatto finora.
“La nuova visione – sottolinea Anderson – che si basa sull’automazione (…) suggerisce che i vantaggi offerti dal lavoro a basso costo si stiano riducendo mentre quelli derivanti da altri fattori – vicinanza al consumatore finale, costi di trasporto, flessibilità, qualità e affidabilità – stiano crescendo”. Parlando della rete, qualche tempo fa, avevo posto l’accento sui pericoli di un utilizzo poco attento delle informazioni disponibili. Allo stesso modo oggi, mi piace evidenziare l’enorme potenzialità del web per ridare slancio all’economia, alla produzione, alla creazione di posti di lavoro e, in ultima analisi, alla generazione di valore. Un mondo straordinario quello di Internet che potrebbe consentirci di dimenticare la stagione dei derivati e delle speculazioni, per tornare ai fondamenti più solidi dell’economia in un’ottica nuova di condivisione dei progetti e di interscambio culturale. Un ritorno prepotente dell’immaginazione.