Tra registrazioni sulla piattaforma elettronica, comunicazioni alle ragionerie varie, disposizioni relative alle ripartizioni degli oneri tra Cassa depositi e prestiti e ministero dell’Economia, definizione della cifra da sottrarre al computo del deficit, ricognizione dei debiti, certificazioni dei crediti, e molto altro ancora, prima che le aziende possa vedere realmente i propri soldi, potrebbero passare mesi. Ma le aziende che rischiano di soccombere se non otterranno quanto gli spetta dalle pubbliche amministrazioni, non hanno a disposizione dei mesi. Chiuderanno prima. Tanto più che, a conti fatti, il tanto celebrato decreto di sblocco dei crediti è solo un piccolo palliativo, del tutto inadatto a risolvere la situazione. Abbiamo fatto il punto sulla situazione con Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre.
Cosa ne pensa del provvedimento del governo?
Vanno tenute in considerazione alcune tristi premesse: l’anno scorso sono stati licenziati ben quattro decreti successivi per sbloccare 10 miliardi di euro di crediti. Complessivamente, tuttavia, sono stati erogati solo alcuni centinaia di milioni. Il bersaglio non è stato centrato neanche da lontano. Come se non bastasse, è stata rimossa la possibilità di inoltrare domanda di certificazione per via cartacea. Da ottobre è stato imposto l’obbligo di effettuarla attraverso internet. Peccato che per mesi solamente il 5% delle pubbliche amministrazioni si sia allacciata, in via telematica, alla piattaforma necessaria.
Veniamo a oggi.
Convinti che procedendo in questa maniera avrebbero fatto solo della magre figure, hanno deciso di fare un decreto che sblocca non più solamente 10 miliardi, ma 40. Attenzione, però: la cifra si basa sulla stime della Banca d’Italia che parla di un ammontare complessivo pari a 91 miliardi di euro. Lo stesso istituto, tuttavia, che in Italia è tra i pochi che ancora godono di autorevolezza, ha messo in guardia circa i limiti dello studio.
Quali?
Anzitutto, la stima si base sui dati relativi a dicembre 2011. In secondo luogo, la ricognizione è stata effettuata esclusivamente nelle aziende con più di 20 dipendenti. Ora, dato che quelle che ne hanno meno rappresentano circa il 95% dell’industria italiana, i dati sono estremamente imprecisi per difetto.
Secondo lei, quindi, quanti sono, realmente, i crediti delle aziende?
Non meno di 120 miliardi.
Questo, cosa implica?
Destinare alle imprese 20 miliardi nel 2013 e altri 20 nel 2014 rappresenta un’inezia di fronte alle reali necessità. Rispetto ai 120 miliardi necessari, vuol dire che ne sono stati messi a disposizione circa un terzo. Ne mancano ancora 80.
Riusciranno, tuttavia, a sbloccare almeno questi?
Bella domanda: sono state introdotte delle sanzioni per i funzionari poco zelanti, ed è stato imposto l’obbligo di allacciamento alla via telematica. Ma, date le premesse e il funzionamento della pubblica amministrazione, il dubbio rimane.
Posto che ci riescano, quanto tempo ci metteranno?
Non meno di un mese-un mese e mezzo. Normalmente, espletare tutte le procedure credo che comporterà, mediamente, sei mesi.
E nel frattempo, cosa ne sarà delle aziende che si trovano sull’orlo del fallimento?
Molte aziende continueranno a fallire. Così come falliranno – e saranno decisamente più numerose – quelle che dovranno aspettare fino al 2013 o al 2014 per ricevere i pagamenti. Se consideriamo, poi, che per arrivare allo sblocco dei 120 miliardi complessivi alcune dovranno aspettare ancora moltissimi anni, temo che ancora molte migliaia di aziende sono destinate alla chiusura.
(Paolo Nessi)