Chi ha memoria lunga lo ricorderà in quella notte dell’11 maggio di 15 anni fa. Varese, PalaWhirlpool, gara-3 di finale scudetto contro la Benetton Treviso: Gianmarco Pozzecco con capelli fucsia e naso rotto (per un colpo di Marcelo Nicola a inizio partita) che non riesce a star fermo e, con la partita ancora in corso ma di fatto finita, salta e balla insieme al pubblico, festeggiando lo scudetto. Stacco al 12 ottobre 2014: Gianmarco Pozzecco, abito blu e cravatta rossa con capelli “naturali”, impazzisce di gioia in panchina e lancia in aria uno, due, dieci pugni per celebrare la vittoria nel derby contro Cantù. Prima giornata del campionato di basket Lega A, esordio della Mosca Atomica come coach in categoria: contro pronostico la sua Openjobmetis vince, e lui si lascia andare. Irriverente? Montato? Esagerato? I commenti si sono sprecati. Di fatto eravamo solo alla prima, e in tanti si sono chiesti cosa mai potrebbe succedere se Varese dovesse arrivare fino in fondo (difficile, ma sai mai quali sorprese si possono presentare). Torniamo al discorso della memoria: chi l’ha conosciuto ai tempi del giocatore a Varese sussurra nemmeno troppo piano che il Poz fosse uno difficilmente gestibile. Puntava i piedi quando gli allenatori gli dicevano di uscire, era lui a volersi chiamare i cambi se doveva rientrare, dalla Nazionale è stato escluso anche perchè “voleva essere sempre il leader”, come ha ricordato Boscia Tanjevic. Insomma, Pozzecco non è mai stato uno troppo facile da prendere e gestire. Nelle sue prime esperienze da allenatore lo ha dimostrato: conferenze stampa show nelle quali c’è poco spazio per le domande, scherzi ai suoi giocatori, esultanze come quella di domenica. “Tenetevelo stretto” dice Valerio Bianchini che ben lo conosce, e il concetto è ripetuto – lo riporta sempre la Gazzetta dello Sport – dal presidente federale Gianni Petrucci. Come dire: il nostro basket non splende come un tempo, personaggi del genere fanno solo bene. Certo la linea di demarcazione è sottile: vinci, e questi atteggiamenti ti rendono popolare. Perdi, e potresti trasformarti in altro, e meno gradito. Ma la forza di Pozzecco è quella di conoscersi. Due minuti dopo aver vinto lo scudetto nel 1999 gridava a tutti che “sono un pagliaccio, ma sono il numero uno dei pagliacci”; e nel raccontarsi come allenatore ha ammesso che “quando giocavo c’erano aspetti della difesa che nemmeno prendevo in considerazione, adesso la penso in altro modo”. E non è un caso se la sua Varese ha battuto Cantù grazie all’intensità difensiva e se Jacopo Balanzoni, un prodotto di Varese, ha fermato a 21 anni Eric Williams dando la svolta alla sfida. Siamo alla prima giornata, ne mancano ventinove: prima di celebrare definitivamente Pozzecco dovremo aspettare, come giusto che sia. Se però il buongiorno anche in questo caso si vede dal mattino, recitando un vecchio adagio, allora gli appassionati – soprattutto varesini – possono stare tranquilli. (Claudio Franceschini)