Tra tensioni e perplessità si torna oggi in Aula al Campidoglio per un nuovo braccio di ferro tra maggioranza e opposizione riguardo la vendita del 21% di Acea, operazione tanto cara al sindaco Alemanno che da tempo sta però sollevando un vespaio di polemiche. Dopo le vivaci proteste da parte dell’opposizione sulle modalità di vendita della quota è spuntata l’ipotesi di un intervento della Cassa depositi e prestiti, grazie alla quale il Comune capitolino potrebbe difendersi da ogni accusa di stare vendendo Acea ai privati. Cerchiamo di capire meglio ogni aspetto della situazione con Antonio Massarutto, docente di Politica economica ed Economia pubblica presso l’Università di Udine.
Professore, in che modo può inserirsi nella disputa la Cassa depositi e prestiti (Cdp)?
La Cdp è già adesso titolare di quote di proprietà dello Stato di Enel, Eni e altre grandi utility e sta entrando anche nella partita riguardante Snam Rete Gas. E’ in atto quindi un disegno di utilizzo della Cassa per cedere al mercato certi asset, continuando però a mantenerli nella vita pubblica ma permettendo agli stessi soggetti pubblici di fare cassa.
E’ vero che in questo modo il Comune di Roma non potrebbe essere accusato di aver venduto Acea a privati?
Bisogna innanzitutto dire che il Campidoglio è alla disperata ricerca di denaro e questo è ormai chiaro. E come chiunque abbia un impellente bisogno di denaro decide di vendere “l’argenteria”. Un’operazione di questo tipo, se fatta a determinate condizioni, a prezzi di mercato e senza avvantaggiare un particolare socio privato, può effettivamente rispettare questo tipo di garanzia. L’aspetto che però mi preoccupa maggiormente non è il fatto che il Comune di Roma voglia vendere o meno le quote Acea, ma in che modo utilizzerà il ricavato.
Si spieghi meglio.
In generale non è mai un buon segnale vendere il patrimonio per finanziare e tappare i buchi della spesa corrente. Al contrario, se il Comune di Roma annunciasse di voler vendere Acea per finanziare ad esempio la terza linea della metropolitana o un’altra infrastruttura pubblica che ritiene più urgente per la città e i cittadini se può anche discutere. Il Consiglio comunale valuterà il da farsi ma si può dire che in generale, da un punto di vista della logica economica, una scelta del genere può essere considerata tutto sommato difendibile e comprensibile.
C’è anche un’altra ipotesi, ancora tutta da verificare, cioè che sia la stessa Acea a comprare le sue quote messe in vendita dal Comune. Cosa ne pensa?
Sarebbe un’operazione per certi versi simile, nel senso che il Comune di Roma incasserebbe sempre dei soldi e Acea finanzierebbe questo acquisto di azioni proprie. Senza conoscere ovviamente i dettagli di un’operazione ancora da verificare, posso però dire che in generale una mossa del genere potrebbe andare a impoverire la stessa azienda, che dovendo acquistare le proprie quote non può più investire in qualcos’altro.
Quali sono gli aspetti di tutta l’operazione che la convincono di meno?
Non credo che i maggiori ostacoli siano di principio, ma ritengo che ci sarebbero molti problemi di merito nel vedere un’operazione, come quella che a mio giudizio si stava delineando, in cui il Comune di Roma aveva confezionato tutta l’operazione per dare via Acea per un tozzo di pane. Questa sarebbe stata una mossa indifendibile sotto ogni profilo, mentre in generale una cessione di Acea alle condizioni di mercato non è di per sé una cosa scandalosa.
Non crede dunque che la privatizzazione sia da giudicare negativamente?
La privatizzazione non è la scelta più catastrofica che si possa fare. E’ un’operazione che a certe condizioni si può fare e che nel caso di un’azienda che gestisce servizi pubblici come Acea richiede ovviamente strumenti forti di regolazione.
Crede ci siano in questo momento strumenti del genere?
Sì, credo che ci siano e che l’Autorità per l’energia e il gas stia dando prova di saperli utilizzare bene, quindi da questo punto di vista, se fossi un cittadino romano, mi sentirei tranquillo. Non è tanto della vendita che bisogna preoccuparsi, quanto del fatto che un patrimonio che è anche di proprietà dei cittadini non venisse valorizzato nel modo adeguato.
(Claudio Perlini)