Milano, lite al semaforo per una precedenza non data. Protagonisti dell’episodio sono un giovane di 35 anni in motorino e un pensionato di 71 a bordo di una vettura. Si alza la voce, parte qualche insulto, ma sembra finire lì, come succede quasi ogni giorno nel caotico traffico della grande metropoli. Invece al semaforo successivo la lite prosegue, volano degli sputi. Il pensionato a bordo di una Audi 3 perde ogni controllo: quando scatta il verde parte all’inseguimento dell’uomo sullo scooter e lo sperona facendolo volare a terra. Non solo. Come riportano alcuni testimoni, passa sopra il suo corpo in modo cosciente, forse non cosciente al punto tale da volerlo uccidere, ma il risultato sarà quello. Un caso tragico, non molto distante temporalmente da quello, sempre a Milano, che vide la morte di un tassista, massacrato a pugni per aver inavvertitamente investito un cane di una coppia che stava attraversando. IlSussidiario.net ha cercato di capire cosa ci sia dietro a questo episodio parlandone con Cesare Fiumi, giornalista e scrittore, inviato del Corriere della Sera ed editorialista di Sette, esperto di disagio e violenze giovanili.
Atto di follia isolata o violenza metropolitana ormai entrata in circolo? Pensiamo anche al tassista ucciso a pugni poco tempo fa anche lui a Milano.
Diciamo che non si è più capaci di reggere le minime frustrazioni. Qua, nel caso di questo pensionato che dà la caccia al motociclista per investirlo volontariamente, non stiamo parlando di una questione sociale, non è neanche una questione stagionale perché non siamo sottoposti a quel caldo che può far perdere la testa, non è un momento dove si è sottoposti carichi di lavoro stressanti, quasi all’inizio delle ferie agostane, tanto meno per l’attore di questo episodio, un pensionato. E’ invece una situazione completamente senza controllo, dove improvvisamente salta tutto.
Qualcosa dunque di totalmente inaspettato.
Direi di sì, ma non proprio. E’ il segno di un imbarbarimento di questa nostra società dove si è incapaci di gestire qualunque frustrazione, anche le più banali. I giovani questo lo dimostrano quotidianamente, ma evidentemente non sono escluse anche le generazioni più vecchie. Non conta più la carta di identità: questo pensionato non aveva mai compiuto gesti di violenza, non era una personalità borderline, era una persona con la classifica vita da scrivania, da ufficio, non certo una personalità a rischio.
E dunque, come si arriva a queste esplosioni non annunciate di violenza estrema?
Perché non esiste più la capacità di valutare le proprie responsabilità, di capire le conseguenze dell’atto che sto mettendo in opera, quella capacità di raziocinio che dovrebbe far capire cosa può accadere come conseguenza di un certo gesto. Gli sfoghi improvvisi li abbiamo tutti, ma poi ci si ferma un attimo prima di fare un atto folle, e dico questo senza neanche pensare all’esito mortale che ha avuto l’atto del pensionato in questione.
Cos’è allora che impedisce di fermarsi a quell’attimo prima?
L’individualismo feroce, un egotismo che permea noi e la società in cui viviamo. Non esiste più il concetto dell’altro, è saltato ogni senso di responsabilità nel confronto di se stessi, che è un terribile segnale di declino sociale, ma anche nei confronti dell’altro. L’altro non è più percepito come “altra vita”: diventa un ostacolo, un fastidio, come un oggetto su cui scaricare la propria rabbia. Non si ha più il sentore che davanti hai un’altra esistenza e che con il tuo gesto puoi privare qualcuno del fatto di esistere. La società di oggi vive un dramma sociale gravissimo, l’incapacità di rapportarsi con l’altro. Con l’episodio di Milano parliamo di analfabetismo di ritorno.
Cioè?
Intendo che certi principi come il concetto dell’altro, il senso della colpa, il senso di dovere, il rispetto sono andati perduti. Valori che le generazioni passate come quella di cui faceva parte il pensionato avevano. Valori che erano entrati in circolo nella nostra società, una società che aveva dei principi fondanti, dove la funzione della Chiesa cattolica come soggetto educativo era fondamentale, e quindi si conoscevano il senso della colpa, dell’educazione, del rispetto dell’altro, la prudenza negli atteggiamenti. Valori che non esistono più.
Tristemente potremmo notare che non c’è differenza tra i giovani e le precedenti generazioni…
Colpisce vedere che anche quelle generazioni che erano state educate in questi valori, a differenza dei giovani che non li percepiscono più perché nessuno li ha educati ad essi, vengano colpite dalla stessa amnesia educativa. Non sto parlando dell’esito finale dell’episodio in questione: sto parlando dell’episodio in sé, che ci saremmo potuti aspettare a ruoli invertiti, ovvero con il giovane che inseguiva e colpiva l’anziano. Invece quello che è accaduto dimostra un analfabetismo di ritorno dei valori: grazie a quello che è questa nostra società di oggi, esso può colpire a qualunque età. Nessuno è al sicuro.