A volte ritornano. O forse non sono mai andati via. Almeno le loro icone. Così Stanlio e Ollio sono tra noi, a Milano, fino domenica 2 dicembre, protagonisti del testo forse più poetico e visionario di uno dei più grandi drammaturghi spagnoli viventi, Jaun Mayorga. Presentata al Festival di Asti e in replica, in esclusiva per l’Italia, nello storico milanese Teatro Filodrammatici, l’opera vede calcare le scene, per la regia di Paolo Giorgio, gli attori Emanuele Arrigazzi e Fabio Gandossi, in un sottile gioco di coppia in cui si incarna la lotta fra questi due miti del cinema di tutti i tempi. Siamo in una stanza d’albergo quasi sospesa nel tempo e nello spazio, in cui Stanlio e Ollio ripassano le loro battute e i movimenti dei loro film, in attesa di una nuova chiamata sotto le luci della ribalta. Ma il telefono non squilla più. Ollio è diventato più magro, Stanlio più grasso, il loro rapporto artistico e umano non è più come un tempo. Si può tranquillamente dire che è in crisi. Stanlio se ne vuole andare, Ollio vuole continuare. È la lettura del procedere del tempo che tutto cambia dall’aspetto fisico alle aspettative, ai desideri delle persone, come gli stessi Stanlio e Ollio. E alla fine i due si separeranno, come in una sorta di divorzio di una coppia, di tante coppie, come in fondo è la lettura principale del testo di Mayorga. Ma è un divorzio artistico non consumato con facilità, in cui Stanlio e Ollio si affronteranno sino alla fine. E la legge del tempo va avanti inesorabile come in tutte le cose… Ne abbiamo parlato con il regista, Paolo Giorgio.
Il testo di Mayorga sembra anche una lettura delle domande esistenziali che ci facciamo tutti i giorni: qual è il suo pensiero in proposito?
Il testo di Mayorga è dotato di una grande contemporaneità e potrei dire tranquillamente che ha una dimensione europea. Da una parte vengono fuori tutte le domande esistenziali che sono soprattutto di natura relazionale, dipendono dalla coppia in se stessa. Dall’altra ci sono tutte le aspettative, tutti i bisogni che una persona ha, come la stessa ricerca del lavoro, che si spiega in alcune scene di quest’opera teatrale quando il telefono per Stanlio e Ollio non suona più.
Su quali aspetti dell’opera ha lavorato per la messa in scena?
Su quelli che mettevano in evidenza la relazione tra Stanlio e Ollio, non vista solo attraverso i loro dialoghi, ma anche in tutti i loro comportamenti, il loro muoversi in scena, i loro tic, tutti quegli aspetti per così dire anche fisici che fanno parte della vita di una coppia.
Stanlio e Ollio sono una coppia comica che ha scritto un pagina importante della storia del cinema. Perché ha scelto proprio questi due personaggi per la sua nuova opera teatrale?
Mayonga ha detto di essere cresciuto con i film di Stanlio e Ollio. E io ho voluto riproporre proprio questi personaggi, che nei loro film apparivano stralunati, con un umorismo che li portava quasi a una dimensione poetica. Una cosa che era stata riproposta anche nel “Don Chisciotte” di Cervantes, il suo rapporto con Sancio Panza e questa sua visione continua nella corsa ai mulini a vento, questa sorta di finzione scenica continua in cui tutti questi personaggi si trovano.
Teme il confronto con gli “originali”?
No, perché non abbiamo certo voluto riproporre i Stanlio e Ollio originali, ma abbiamo voluto descrivere fino in fondo il loro modo di essere, di rappresentarsi, di muoversi in questa loro storia di coppia che si sta disfacendo. Con Stanlio che vuole liberarsi della figura di Ollio e Ollio che resta attaccato fino in fondo all’idea di coppia. In realtà i veri Stanlio e Ollio hanno proseguito fino alla fine nel loro rapporto artistico.
Sembra quasi una lettura della crisi della coppia in tutti i sensi. Cosa ne pensa?
È vero, abbiamo proprio voluto rappresentare la crisi della coppia vista in tutti i sensi, non solo vista in chiave sentimentale, ma anche la coppia di amici, la coppia intesa come gruppo, o in ambito lavorativo. In fondo in quest’opera teatrale la storia di Stanlio e Ollio è quella di un divorzio, non è vista certo secondo i canoni, la visione delle cose di Samuel Beckett, con un personaggio – appunto Stanlio – che sceglie di andare per la sua strada, di mettersi in gioco come uno, come singolo, mentre Ollio ha quasi paura della solitudine, è legato a questa coppia quasi sospesa nel tempo.
Immagini di poter – con un salto nel tempo – incontrare i veri Stanlio e Ollio, penserebbe di poter proporre loro d’essere protagonisti di quest’opera?
Gli farei recitare quest’opera, e mille altre. Sarei ben felice di lavorare con Stan Laurel e Oliver Hardy, due grandissimi attori comici della storia del cinema.
Emanuele Arrigazzi e Fabio Gandossi che Stanlio e Ollio sono?
Sono due Stanlio e Ollio che hanno portato sulla scena anche i loro personaggi, quasi il loro rapporto, la loro amicizia che dura da tanto tempo. Potrei dire che in questa opera teatrale c’è una parte di loro che va al di fuori della rappresentazione di Stanlio e Ollio.
Quest’opera è anche una lettura del trascorrere del tempo che tutto cambia e tutto trasforma. Nel metterla ain scena ha pensato anche a questo?
L’elemento tempo è fondamentale nella nostra vita, la guida, la decide, la svolge. E così in “Stanlio e Ollio” si vive in questa dimensione sospesa tra passato, presente e futuro. Ollio è quasi più legato al passato, non riesce a staccarsi dal suo ruolo. Stanlio vuole invece avere un futuro, avere una possibilità e andarsene per i fatti propri a costruire una sua vita al di fuori della coppia. Del resto i due personaggi nel tempo sono cambiati. Ollio non è così troppo grasso, Stanlio non è così troppo magro, i loro ruoli, il loro bisogno di avere delle parti non sono poi così facili dopo questi cambiamenti. Anche questo è il segno del tempo che interviene su tutto, anche sul nostro aspetto fisico e che determina fino in fondo il nostro destino.
(Franco Vittadini)