La legge è uguale per tutti, ma non tutti sono uguali davanti alla legge. Non lo è Antonio che, più per la paura che qualcuno potesse circuirlo che per il suo modesto ritardo mentale, i suoi fratelli hanno fatto interdire e ora non può neppure riconoscere suo figlio. Non lo è Francesca, autistica: lei gli altri li capisce, sono loro che non capiscono lei. Ma la sua “interprete”, la mamma, non può firmare le carte per l’Asl al posto suo. Non lo è Maria, che sa che quando la Sclerosi laterale amiotrofica le porterà via anche l’aria, non avrà voce in capitolo sulla ventilazione artificiale che potrebbe salvarle la vita. Eppure per tutti e tre le cose potrebbero essere ben diverse. Perché dal 2004 esiste una figura che potrebbe assisterli, rappresentarli e tutelarli, ma senza togliere loro i diritti civili: l’amministratore di sostegno. Solo che le famiglie di Antonio, Francesca e Maria non lo sanno.
Per questo, due anni fa, su iniziativa delle associazioni “Oltre noi… la vita” e Ledha, insieme con Fondazione Cariplo, Coordinamento dei Centri di Servizio per il Vontariato della Lombardia (Csv) e Comitato di gestione del fondo speciale (Co.Ge), è nato il “Progetto Amministratore di Sostegno”, un intervento sul territorio lombardo per far conoscere e consolidare questa figura di protezione giuridica introdotta dalla legge di riforma del Codice Civile n. 6 del gennaio 2004. «Il contesto culturale e valoriale dal quale ci siamo mossi – spiega il project leader, Zaccheo Moscheni – implica uno scenario ampio che promuove l’autonomia personale e si preoccupa che il ‘dopo di noi’ sia progettato nel “durante noi”».
L’Amministratore di sostegno è infatti colui che, con la diligenza del buon padre di famiglia, affiancherà, o sostituirà, il beneficiato in tutti quegli atti che lui ha difficoltà a compiere. Potrebbero essere atti di amministrazione straordinaria, come la vendita della casa o l’accensione di un mutuo, o decisioni sul proprio progetto di vita, come lo stabilire la propria residenza in un luogo piuttosto che in altro. O anche i colloqui con il personale sanitario, per definire cure e trattamenti. Può essere un parente, un vicino, un amico, un volontario. L’importante è che stia vicino al beneficiato e che sia stato “investito” dell’incarico da un giudice tutelare. Che, nel decreto di nomina, stabilisce in quali specifici atti l’Ads debba sostituire, o solo affiancare, il beneficiato. Un abito tagliato su misura tenendo conto delle fragilità specifiche della persona, delle sue capacità residue e delle sue potenzialità.
Moscheni, un passato da funzionario pubblico (era responsabile dell’Area Disabili del Comune di Milano), ci tiene a sottolineare: «La legge 6 del 2004 ci pare poco conosciuta, così abbiamo generato un progetto e non un bando, perché il bando preordina, regola l’accesso e decide quali adempienze, mentre il progetto definisce i traguardi, i possibili risultati, gli obiettivi strategici». Per sostenere la diffusione e il consolidamento dell’istituto dell’Ads, Fondazione Cariplo, Csv e Co.Ge hanno messo a disposizione un milione 250mila euro da spendere nel triennio 2009-2012: «Grazie a questi fondi – spiega Moscheni – abbiamo realizzato 33 focus group per valutare la situazione della protezione giuridica nei diversi territori della Regione per le persone che soffrono delle quattro principali fragilità: disabilità, salute mentale, terza età, dipendenze. Poi abbiamo costruito delle vere e proprie reti locali con le 195 associazioni che partecipano all’iniziativa e in ognuno dei 15 ambiti Asl della Lombardia – nei quali dal 2008 è presente un Ufficio di protezione giuridica, ndr – è nato un progetto con caratteristiche proprie, promotori, responsabilità, modi e azioni tipiche di quel territorio, oggi consultabili sul sito www.progettoads.net».
«La nuova legge – commenta Moscheni – valorizza le risorse residue della persona fragile senza lederne i diritti essenziali, cosa che invece fanno l’interdizione e l’inabilitazione, che non lasciano responsabilità né protagonismo alla persona fragile». Infatti, l’interdizione affida a un tutore il compimento di tutti gli atti civili, ma non quelli cosiddetti “personalissimi” come fare testamento, sposarsi, riconoscere il figlio naturale che, pertanto, l’interdetto non può in nessun caso fare. Mentre l’inabilitazione assegna a un curatore l’amministrazione straordinaria del patrimonio del soggetto, che viene quindi lasciato a se stesso per tutto ciò che riguarda la sfera personale, sanitaria, del progetto di vita. Entrambi gli istituti, di fatto, tutelano solo un aspetto della vita del beneficiato: quello patrimoniale. «L’Ads – continua Moscheni – mantiene la prerogativa del tutelarne il patrimonio, ma chiede di prendersi cura della persona fragile rappresentandone i diritti e garantendo le sue aspirazioni». Sono le parole esatte dell’articolo 410 del Codice civile: «Nello svolgimento dei suoi compiti l’amministratore di sostegno deve tener conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario». Che deve essere d’accordo, pena l’annullabilità degli atti compiuti dall’Ads. Una novità di non poco conto rispetto alle tradizionali figure del tutore e del curatore: dalla tutela del solo patrimonio si è passati all’attenzione per la persona, con il pieno rispetto di tutte le sue esigenze.
Questa rivoluzione deve molto all’impegno dell’associazione «Oltre noi.. la vita», che dal 1992 si occupa di protezione giuridica delle persone con disabilità e che ha collaborato fattivamente alla stesura della legge 6/2004. Fino ad allora, infatti, l’unica strada percorribile per assicurare che il figlio, o il fratello, disabile fosse tutelato, almeno patrimonialmente, anche una volta rimasto solo, senza più parenti, era quello di intraprendere un ricorso – con tanto di avvocati, spese e dimostrazioni dell’incapacità di intendere e di volere – contro il proprio caro. E il marchio di “interdetto” o “inabilitato” veniva considerato, più che una tutela, un’infamia. In molti, troppi, hanno evitato di far ricorso a questi due istituti di protezione giuridica, così come in molti, troppi, vi hanno fatto ricorso per i motivi sbagliati e con conseguenze devastanti per la vita dei soggetti “beneficiati”. Tutto, però, deve appartenere al passato: pur rimanendo tutela e curatela per i casi più gravi, l’amministratore di sostegno è una figura che si occupa della persona fragile, l’affianca, o la sostituisce nei soli ambiti, stabiliti dal giudice tutelare, nei quale questa non possa provvedere autonomamente, in una prospettiva, quella della generale capacità di agire, totalmente rovesciata rispetto al passato.
Significa che Antonio, non più privato dei diritti civili, ma semplicemente assistito da un Amministratore di sostegno, sarà libero di riconoscere il figlio naturale, lasciandogli in eredità i suoi beni. E che per Francesca, i documenti li potrà firmare la mamma, che oltre a farle da interprete nella vita sarà ufficialmente investita della rappresentanza, anche legale, di sua figlia. Non solo: la stessa persona interessata, dice la legge, può designare, in vista della propria eventuale futura incapacità, l’amministratore di sostegno, mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata. E quando la Sla porterà via l’aria a Maria, suo marito andrà dal giudice tutelare con il foglio su cui la moglie l’aveva designato come suo angelo custode. E, anche se senza voce, potrà dire sì alla vita che verrà.